Parte prima
4. Le terapie mente-corpo nella riabilitazione reumatologica

4.a Le terapie mente-corpo

Indice dell'articolo

Dal momento che le malattie reumatiche non causano sintomi soltanto alla sfera fisico-motoria, ma creano notevoli disagi anche a livello psichico e, conseguentemente, sociale, i pazienti reumatici non possono essere sottoposti unicamente a terapie che mirino a rallentare la progressione del danno muscolo-scheletrico, ma necessitano di essere trattati nella loro interezza.

La riabilitazione reumatologica deve dunque indirizzarsi alla cura della salute globale del paziente affetto da malattia cronica, non limitare il suo ambito d’intervento all’apparato locomotore o, addirittura, al singolo segmento malato.

Questo è l’approccio proprio delle CAM (Complementary and Alternative Medicines), gruppo di discipline che ancora oggi vengono spesso impropriamente designate solo come “alternative”, ma che ormai efficacemente affiancano e completano le metodiche terapeutiche tradizionali (farmacologiche e non) nella pratica medica.

Un sottogruppo delle CAM riveste per noi un ruolo d’interesse particolare: si tratta delle Terapie Mente-Corpo (TMC), metodiche che utilizzano tecniche di movimento e di concentrazione atte ad aumentare la capacità di focalizzare la relazione che s’instaura tra Sistema Nervoso Centrale (SNC), attività mentale, corpo e comportamento motorio, e la conseguente possibilità d’intervenire positivamente sulla modulazione dei meccanismi centrali del processo del dolore e della percezione corporea nonché sulle loro relazioni con gli altri sintomi somatici e coi disturbi dell’emotività e del comportamento.

Nel precedente volume di riabilitazione reumatologica (Riabilitazione reumatologica. Approccio multidisciplinare, a cura di S. Maddali Bongi, Edra, Milano, 2007) invece di TMC, si parlava di “ginnastiche dolci”, che, guidate da fisioterapisti esperti, si erano rivelate utili nella riabilitazione del paziente reumatico. La ginnastica dolce si differenzia dalla ginnastica tradizionale nel valorizzare il lavoro cosciente su se stessi rispetto alla prestazione fisica, nel sostituire allo sforzo fisico un lavoro incentrato sulla percezione e sul rilassamento; “dolce” è la metodica che si pone in rapporto di armonia, non di urto, col praticante e con l’ambiente.

Già nell’Ottocento si sentiva da più parti (E.J. Delaroge, H. Medau, H. Folkonen) affermare la possibilità e l’efficacia di un movimento libero e naturale, eseguito in assenza di sforzo nel rispetto del ritmo respiratorio individuale; Rudolph Bode, nato in Germania nel 1881, riteneva che una delle funzioni essenziali della ginnastica è di far avvertire la sensazione profonda del movimento. Più tardi la finlandese Hilma Jalkanen poneva l’accento sugli esercizi di rilassamento e sull’importanza di pervenire a un atteggiamento fisico equilibrato e naturale. Apporti fondamentali arrivarono poi dal mondo del teatro e della danza (J. Duneau, R. Von Laban, M. Wigman, M. Graham), dove si sottolineava la necessità di far procedere di pari passo il lavoro corporeo con lo sviluppo della percezione e l’esercizio della concentrazione.

L’obiettivo della ginnastica dolce è proprio una “ri-educazione corporea” all’insegna della spontaneità del movimento. Si tratta di un’esperienza che coinvolge il corpo nella sua globalità (Maria José Monareau parla di un’«arte di vita») e permette al praticante — nel nostro caso il paziente reumatologico — di riprendere contatto con le proprie potenzialità latenti o inibite e di riequilibrare le sue condizioni fisiche generali (aumento dell’escursione articolare, recupero di fluidità nel movimento, riduzione del dolore) in un cammino di riconciliazione del corpo con le proprie leggi e di recupero dell’armonia tra corpo e psiche, spesso infranta dall’insorgere della malattia. L’esperienza che ne deriva può favorire uno stato di fiducia in se stessi, in quanto la riacquisizione della capacità di valutare le risorse del proprio corpo innesca un processo interno di autocorrezione che favorisce un clima di ritrovata fiducia nelle proprie potenzialità.

Tutte le scuole moderne di ginnastica dolce derivano dal metodo di Françoise Mézières1, il cui assunto principale è che il corpo umano è perfettibile nella misura in cui l’individuo realizza la propria unità fisica e psichica.

L’integrazione strutturale di Ida Rolf

Come per la Mézières, anche per Ida Rolf è la struttura a determinare la funzione; tuttavia, mentre la Mézières s’interessa alla sola funzione fisiologica, per la Rolf tutto il comportamento dell’individuo, inclusa la funzione emotiva, si modifica in relazione al cambiamento della struttura del corpo. Secondo la Rolf abbiamo inconsciamente dato forma biologica ai nostri atteggiamenti mentali; le varie reazioni nervose, ghiandolari, muscolari non sono solo legate a stati emotivi, ma sono stati emotivi esse stesse. Dal momento che «le fasce sono l’organo della struttura», il primo step del lavoro d’integrazione strutturale è ripristinare la mobilità e l’elasticità delle fasce (o tessuto connettivo).

L’antiginnastica di Thérèse Bertherat

Primo obiettivo è di far prendere coscienza delle contrazioni muscolari profonde, spesso di origine remota, che interessano prevalentemente la catena muscolare posturale e concorrono alle deformazioni del corpo. La pratica dell’antiginnastica rispetta gli assi corporei, rifiuta l’asimmetria, tiene conto delle torsioni, delle rotazioni articolari, della respirazione e della sua incidenza sulla forma e sul funzionamento dell’organismo. Provoca le reazioni del sistema simpatico e parasimpatico, che comandano e proteggono la vita organica e nervosa e che, sconvolti da reali cambiamenti, tentano di rifiutare questi cambiamenti, prima di assimilarli (Bertherat e Bernstein 19912).

Il lavoro, che si svolge preferibilmente in gruppo e prevede l’ausilio di strumenti quali palle o bastoni, consiste nell’attivare possibilità motorie sconosciute; le informazioni create dai nuovi movimenti sperimentati innescano un cambiamento significativo nell’organizzazione nervosa e muscolare del praticante, che viene quindi accompagnato a una nuova scoperta sensoriale del sé.

Il metodo Feldenkrais

Ideato da Moshé Feldenkrais ed esposto in maniera esaustiva nel suo libro Il corpo e il comportamento maturo (19493), è un metodo pratico di lavoro sul corpo, basato su princìpi di fisica, biomeccanica, apprendimento e psicomotricità, che consente d’imparare a conoscere e a utilizzare pienamente le risorse individuali attraverso il movimento. L’obiettivo è quello di migliorare la consapevolezza e la sensibilità, di espandere il repertorio di movimento, riducendo il dispendio di energie e potenziando l’efficacia delle azioni svolte. Secondo Feldenkrais la qualità dei movimenti rispecchia il modo in cui il praticante percepisce il proprio corpo, i pensieri, le abitudini; il metodo si focalizza sul miglioramento, tramite il movimento, dell’interazione tra pensiero, immagine di sé e ambiente circostante, ottenendo benefici, con la stimolazione del SNC, a livello sia fisico che psico-emotivo4.

L’eutonia di Gerda Alexander e l’anatomia esperienziale

Con “eutonia”, termine coniato nel 1957, s’indica uno stato in cui ogni movimento viene eseguito col minimo dispendio di energia e col massimo di efficacia. Analizzando i metodi di distensione, le caratteristiche del riposo e del sonno, sulla base di una conoscenza approfondita dell’anatomia e della fisiologia, Gerda Alexander ha ideato una ginnastica lenta e minuziosa che mira al riequilibrio del corpo.

L’allievo deve pensare a quello che fa e a quello che avviene in lui mentre lo fa.

A differenza dello Yoga5 o di alcuni esercizi di Qi Gong6, il praticante non agisce volontariamente sulla propria respirazione, ma viene invitato a osservarla (ritmo, durata, eventuali mancanze di pause). L’operatore non corregge i movimenti dei praticanti, secondo il principio per il quale ognuno è in grado d’imparare a osservarsi e a rendersi conto di ciò che accade nel proprio corpo.

Un discorso a parte merita l’Anatomia esperienziale, per il fondamentale contributo fornito ai metodi di osservazione e di analisi del movimento. Ogni parte anatomica di cui l’individuo è costituito, essendo viva, è accessibile per via esperienziale, con la conseguenza che focalizzando l’attenzione all’interno del corpo, cambiano anche lo stato di coscienza, il livello di percezione, la qualità del movimento, della voce e del respiro, in una parola il proprio modo di pensare. Bonnie Bainbridge Cohen è l’insegnante che più di ogni altro ha verificato i rapporti tra l’anatomia cognitiva e le esperienze personali, che ha poi sistematizzato, integrandole nelle forme della scienza biologica occidentale.

Tramite l’anatomia esperienziale possono essere esplorati i sistemi osseo, muscolare, legamentoso, fasciale, endocrino nervoso e i vari organi e fluidi che costituiscono l’organismo.

Tolja 19947

La visualizzazione, l’immagine riprodotta — o scritta — del proprio corpo o delle sue singole parti, l’attenzione viva sui nostri punti deboli e sui nostri punti di forza rendono recettive le parti più bloccate e nascoste del nostro organismo.

I sei principi fondamentali delle ginnastiche dolci

Le ginnastiche dolci sono definite anche “ginnastiche propriocettive”, enfatizzando l’importanza della graduale acquisizione di consapevolezza del movimento e dei distretti corporei in esso coinvolti direttamente o indirettamente nel rispetto dei princìpi di bio-tensegrità. La nostra percezione corporea è strettamente legata alla nostra percezione sensoriale; le sensazioni provenienti dal corpo fisico e decodificate a livello cosciente possono attivare un nuovo processo di consapevolezza liberato dai condizionamenti che, stratificandosi e strutturandosi, avevano limitato l’individuo in una condizione di disagio.

1. Coscienza del movimento
2. Distensione e attenzione alla sensazione
3. Tensegrità
4. Importanza della colonna vertebrale
5. Ritmo di lavoro e rispetto dei limiti di soglia
6. Rilassamento dei muscoli posteriori

Tabella 1 — Princìpi fondamentali comuni alle varie ginnastiche dolci e alle TMC.

Si possono individuare 6 princìpi fondamentali accomunanti le varie ginnastiche dolci, che oggi divengono punti integranti delle TMC: un’espressione, questa delle “Terapie Mente-Corpo”, più appropriata in senso terapeutico, allontanandosi dagli equivoci ingenerati invece dall’espressione “ginnastiche dolci” anche presso strutture dove si pratica fitness e non terapia:

1. Coscienza del movimento. Alla base del gesto consapevole sta la coscienza del movimento, piuttosto che la ripetizione dello stesso; sarà nel tempo di pratica che il gesto diverrà sempre più bio-meccanicamente adeguato e quindi acquisito. Si sfrutta la “memoria del corpo”, facoltà che, in risposta a un’azione che minaccia di alterare gli equilibri psichici o ambientali, genera delle reazioni inconsce più adeguate rispetto alle elaborazioni razionali: se si vuole intervenire su un atteggiamento, sia esso motorio o psichico, dobbiamo prima imparare a riconoscerlo; solo allora saremo in grado di modificarlo e correggerlo.

2. Distensione e attenzione alla sensazione. L’obiettivo è cercare d’implementare la capacità di sensazione e di attenzione al gesto che stiamo per compiere, ossia di arrivare all’esecuzione di un movimento appreso non per imitazione, ma perché lo si è compreso nella sua interezza. Il percorso comincia con la proposta di piccoli movimenti propedeutici che impegnano al minimo — da un punto di vista sia quantitativo che di sforzo — i sistemi muscolo-articolari coinvolti, permettendo al sistema nervoso di acquisire facilmente gli automatismi necessari alla successiva ripetizione involontaria del gesto corretto.

3. Tensegrità. Il movimento bio-meccanico si sviluppa attraverso le connessioni di segmenti di varia natura (ossea, tendino-legamentosa, tissutale) tra loro interdipendenti. Il principio di tensegrità indica che le forze prodotte da ogni singolo segmento sono trasmesse e distribuite omogeneamente attraverso l’intera struttura: se un solo elemento riceve un aumento della forza stressante, questo verrà equamente distribuito lungo tutti i componenti del sistema. Ne consegue che, in caso di squilibrio del sistema, può insorgere una sintomatologia dolorosa anche a distanza dal punto di origine e di causa dello squilibrio stesso; cosicché, lavorando su un distretto, sia esso muscolare o articolare o tissutale, si possono ottenere benefici in distretti distanti.

4. Importanza della colonna vertebrale. Alla colonna vertebrale, “albero vitale” del movimento, si ancorano i cingoli scapolare e pelvico, che si connettono alle periferie. Se, per una ragione qualsiasi, viene alterato l’equilibrio statico o dinamico della colonna vertebrale, si può innescare una reazione a catena capace di arrivare a coinvolgere, da un punto di vista sintomatico, anche le regioni più periferiche; allo stesso modo, un’azione correttiva sull’assetto della colonna vertebrale può portare benefici ai distretti più distali.

5. Ritmo di lavoro e rispetto dei limiti di soglia. Nell’esecuzione degli esercizi il ritmo di lavoro adottato dev’essere adeguato alle esigenze e possibilità dei praticanti, nel rispetto dei limiti soggettivi di range articolare, sforzo ed elasticità tissutale (limiti di soglia).

6. Rilassamento dei muscoli posteriori. I muscoli posteriori superficiali, situati dalla nuca ai talloni, sono quasi sempre troppo rigidi e potenti (F. Mézières). S’interviene per favorire il rilassamento dei muscoli del collo, della schiena e degli ischio-peroneo-tibiali.

Diffusione ed efficacia delle terapie mente-corpo

L’impiego delle TMC, a oggi, si sta diffondendo sempre più. Il punto di forza di tali metodiche consiste nel ruolo attivo che permettono al paziente di rivestire all’interno del percorso di trattamento scelto; inoltre i rischi, tanto fisici quanto emozionali, che comportano sono poco rilevanti e il loro impatto economico decisamente basso.

Peraltro alcune TMC sono ancora difficilmente definibili come “terapie” in senso stretto, giacché spesso utilizzate unicamente come pratiche di gruppo e quasi mai osservate nel trattamento di un singolo paziente, o perché ancora non sono state fatte oggetto di un sufficiente numero di studi sperimentali e osservazionali.

A seguire vengono elencate e brevemente descritte le TMC che trovano applicazione e sperimentazione nell’ambito di ricerca della riabilitazione in generale — compresa quella reumatologica —, alcune delle quali sono ampiamente trattate in questo testo.

Meditazione

Pratica di concentrazione della mente su uno o più oggetti, immagini, pensieri, con lo scopo di migliorare le proprie condizioni psicofisiche.

Tecniche di respirazione e di rilassamento

Abbinamento di tecniche di consapevolezza del respiro e rilassamento muscolare progressivo o training autogeno.

Ipnosi

Fenomeno psicosomatico che, coinvolgendo la sfera sia fisica che psicologica del praticante, può influire sulle sue condizioni fisiche, psichiche e comportamentali.

Immaginazione guidata

Processo psicofisiologico dinamico durante il quale il praticante immagina e sperimenta una realtà interiore in assenza di stimolazioni esterne.

Yoga

Insieme di posizioni e di tecniche di respirazione che mirano all’armonizzazione di corpo, mente e anima.

Body awareness therapy

Tecniche di stimolazione sensoriale consapevole concentrate durante l’esecuzione di un esercizio fisico, il cui obiettivo principale è il raggiungimento di una totale coordinazione tra atteggiamento motorio e consapevolezza sensoriale.

Riabilitazione integrata: metodo Rességuier

Metodica capace di apportare una maggiore capacità di percezione corporea e una maggiore regolazione delle sensazioni e delle emozioni nel paziente.

Qi Gong

Allenamento corporeo, energetico, respiratorio, emozionale, mentale, le cui radici si fondano sulla tradizione medica psicocorporea di origine cinese. Consta di tecniche posturali, di respirazione, di concentrazione e di esercizio fisico a basso impatto.

Tabella 2 — Tecniche delle TMC.

Dati della letteratura dimostrano in modo crescente che le TMC sono efficaci e utili nei programmi riabilitativi in reumatologia, soprattutto sulla funzione, sul dolore e sul disagio psicologico — frequente nei pazienti reumatici —, e che non hanno effetti collaterali.

Nei pazienti con malattie reumatiche autoimmuni e infiammatorie, il legame tra lo stress e i meccanismi neuroendocrini e immunitari suggerisce che le TMC, mediante il miglioramento della funzionalità psicologica e metabolica, possono significativamente modificare funzione e dolore.

Trattandosi di tecniche che rispettano i ritmi individuali e richiedono un atto di presenza a se stessi, le TMC si applicano con successo nella riabilitazione dei pazienti affetti da patologie reumatologiche, con tanta più efficacia quanto più precoce è l’inizio del trattamento, allo scopo di modificare la condizione articolare e muscolare, di migliorare l’immagine e la considerazione che il paziente ha di se stesso e di guidarlo verso uno stato di maggiore fiducia.

Nel caso di pazienti affetti da fibromialgia, osteoporosi grave con fratture o gravi artriti, sono necessarie dapprima sedute individuali, ma, appena possibile, si predilige il lavoro in piccoli gruppi, che crea un’atmosfera di solidarietà nella quale al fisioterapista è più facile rendere meno pesante l’impegnativo cammino che ognuno deve percorrere.

Le evidenze scientifiche dell’applicazione delle TMC nelle malattie reumatiche sono esposte nei capitoli che trattano della riabilitazione specifica.

Pertanto, anche se sono necessari studi di alta qualità che includano un maggior numero di pazienti, con follow up a lunga durata nella gestione dei pazienti con malattie reumatiche, le TMC sono di comprovata utilità e dovrebbero essere:

  • inserite nel piano riabilitativo individuale;
  • scelte dal reumatologo, tenendo conto della malattia di fondo nonché delle caratteristiche psicologiche, delle esigenze e delle possibilità del paziente;
  • adattate alle caratteristiche del paziente;
  • utilizzate a cicli regolari;
  • integrate e/o alternate con altre tecniche riabilitative;
  • integrate con trattamento farmacologico e misure educative.

A tutt’oggi le TMC sono scarsamente conosciute e non fanno parte dei programmi di formazione universitaria di Fisioterapia. Pertanto la loro attuazione è lasciata a docenti delle stesse che non hanno la preparazione sufficiente per poter trattare i malati reumatici. È invece necessario che i fisioterapisti si specializzino in tali metodiche, utilissime, per le motivazioni sin qui esposte, ai malati reumatici.