Parte seconda
5. I reumatismi infiammatori

5.c Le metodiche di riabilitazione della mano e del polso nel malato di artrite reumatoide

Indice dell'articolo

Nel paziente affetto da Artrite Reumatoide (AR) la mano e il polso sono le articolazioni più precocemente e più frequentemente interessate (rispettivamente 80% e 73%). La presa in carico del paziente con AR dev’essere precoce e multidisciplinare poiché l’interessamento della mano e del polso è alquanto invalidante nella vita privata e sociale, per cui l’intervento medico e fisioterapico, ed eventualmente chirurgico, devono avvenire in stretta collaborazione per stilare un piano terapeutico personalizzato.

La riabilitazione ha lo scopo di ridurre al massimo la disabilità del paziente, avvalendosi di tutte le tecniche a disposizione: chinesiterapia attiva e passiva, economia articolare e ortesi, da utilizzare insieme alla terapia farmacologica.

L’obiettivo principale del trattamento è di tenere sotto controllo la patologia, diminuire il dolore e prevenire i danni articolari. Gran parte della riabilitazione si adopera per mantenere un’autonomia nelle attività della vita giornaliera o Activities Day Living (ADL), una buona qualità della vita sociale e lavorativa, fornendo soluzioni di economia articolare, consigli e ausili che aiutino e coadiuvino le difficoltà “funzionali” provocate dall’evoluzione dell’AR.

La riabilitazione della mano non può mai essere isolata, ma deve sempre far parte della rieducazione dell’intero arto superiore. Infatti, per il paziente reumatoide con coinvolgimento delle mani può risultare molto difficoltoso, o addirittura impossibile, eseguire gesti semplici come prendere un oggetto, tagliare con un coltello, scrivere ecc. senza mettere in atto una serie di aggiustamenti posturali dinamici di tutto l’arto superiore e molto spesso di altri distretti corporei.

Oltre al recupero funzionale, psicologico, sociale e professionale, bisogna tener presenti la sintomatologia dolorosa e l’aspetto estetico che possono invalidare la sfera emotiva del paziente.

L’EULAR (European League Against Rheumatism) ha stilato 10 criteri di presa in carico del paziente affetto da AR, giungendo alla conclusione che il trattamento migliore è quello che sviluppa strategie individualizzate e appropriate per aiutare i pazienti a gestire la loro malattia coadiuvando la terapia farmacologica con l’utilizzo di splint e istruzioni per le ADL.

Nell’AR si distinguono una fase acuta, in cui il fenomeno infiammatorio è in piena attività, e una fase post-acuta, in cui i fenomeni infiammatori sono di minore entità. Queste due fasi si susseguono nel tipico andamento a poussée della malattia.

L’andamento della patologia evolve verso le deformità del polso, della mano e delle dita.

Valutazione

La valutazione è il primo approccio per stabilire un obiettivo a medio e lungo termine e per determinare un progetto riabilitativo. È necessario monitorare il paziente nel tempo per aggiornare il piano di trattamento impostato.

Allo scopo di prevenire o ridurre la disabilità, il fisioterapista deve valutare continuamente la presenza e la combinazione di dolore, funzione e deformità. A volte la funzione della mano si mantiene molto efficace nonostante la presenza di importanti e gravi deformità articolari; altre volte, al contrario, piccole e insignificanti deformità rendono alquanto limitata la funzione di questo distretto articolare.

La valutazione comprende:

  1. l’ispezione e la palpazione;
  2. la valutazione del dolore;
  3. la valutazione della rigidità articolare mattutina;
  4. la valutazione dell’escursione articolare (Range Of Movement, ROM);
  5. la valutazione della forza di presa;
  6. la valutazione della destrezza della mano;
  7. la valutazione funzionale globale della mano;
  8. la valutazione della sensibilità della mano;
  9. la valutazione delle deformità articolari.

1. L’ispezione e la palpazione. Vengono annotati posture anomale, deformità, stato della cute, atrofia dei muscoli. Includono la valutazione dello stato articolare (crepitii) e l’integrità tendinea; in caso di gravi deformità è difficile valutare lo stato tendineo, a causa della sublussazione, della dislocazione o della distruzione dell’articolazione.

2. La valutazione del dolore. La valutazione del dolore viene effettuata mediante la Scala Analogico-Visiva (VAS). Oltre alla VAS, anche lo Short Form McGill Pain Questionnaire (SF-MGPQ) è un utile metodo di valutazione del dolore.

3. La valutazione della rigidità articolare mattutina. La rigidità mattutina è valutata in base al tempo di durata riferito dal paziente.

4. La valutazione dell’escursione articolare (ROM). È utile misurare l’escursione attiva di tutte le articolazioni della mano e del polso. Tale misurazione può essere effettuata col centimetro o col goniometro. La misurazione effettuata col centimetro è aspecifica, ma risulta utile soprattutto per il paziente, che può monitorare da solo la sua situazione. Per valutare la flessione delle dita si misura la distanza intercorrente tra la cresta palmare distale e la punta di ogni singolo dito.

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Figura 1 — Valutazione del ROM con il centimetro.

Per valutare l’estensione, è necessario supinare la mano e misurare la distanza tra la superficie d’appoggio della mano e il letto ungueale. Per valutare l’abduzione, si misura la distanza tra la punta del pollice e quella del mignolo. Valutazione col goniometro: la posizione di riferimento è quella a 180°, l’iperestensione ha un valore negativo, una riduzione dell’estensione ha un valore positivo.

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Figura 2 — Valutazione del ROM con il goniometro.

Quando si effettua una misurazione bisogna sempre tener presente che le articolazioni prossimali a quella misurata possono suscitare variazioni significative del risultato.

5. La valutazione della forza di presa. La valutazione della forza di presa viene effettuata utilizzando il dinamometro di Jamar (che valuta la forza di presa globale della mano) e il pinch meter (che valuta la pinza tridigitale). Uno strumento facilmente reperibile per valutare la forza di chiusura globale della mano è lo sfigmomanometro, ma è meno preciso dei dinamometri elettronici.

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Figura 3 — Valutazione della forza di presa e destrezza.

Generalmente si considera che 2 kg di forza esercitata sul manicotto corrispondono a una variazione di circa 20 mm/Hg. È stimato che una presa globale inferiore ai 9 kg (20 libbre) crea gravi problemi nelle ADL, trattandosi della forza di presa minima necessaria per sostenere una tazza da caffè. Si considera che mediamente la forza per una donna sia tra i 22 e 27 kg circa (50-60 libbre), e 45 kg circa (100 libbre) per un uomo. L’esame della forza muscolare relativa al singolo muscolo, e di conseguenza all’articolazione specifica, fornisce indicazioni abbastanza precise sulle lesioni che hanno subìto o stanno subendo tendini e muscoli.

6. La valutazione della destrezza della mano. Per valutare la destrezza della mano il Moberg Pick-up test è il test più largamente diffuso, in grado di valutare anche piccoli cambiamenti della funzionalità della mano (valuta il tempo impiegato a raccogliere alcuni oggetti a occhi chiusi).

7. La valutazione funzionale globale della mano. In letteratura esistono vari test più o meno specifici di valutazione della funzione globale della mano; i più utilizzati sono:
- il Jebson-Taylor hand functional test (Jebson et al. 1969) e il Sollerman test (Sollerman ed Ejeskar 1995), test standardizzati che valutano la capacità di prensione della mano;
- la scala DASH (Hudak, Amadio e Bombardier 1996), scala di valutazione più ampia, che valuta la funzione globale dell’intero arto superiore;
- l’O’Neill hand functional test (O’Neill 1995), che valuta le modalità esecutive in modo quantitativo, cioè il tempo che il paziente impiega a eseguire ogni singola prova che l’esaminatore propone. Il test è composto da 8 diverse attività.

8. La valutazione della sensibilità della mano. La valutazione della sensibilità nella mano reumatoide è utile soprattutto per le sindromi da intrappolamento, la più comune delle quali è la sindrome del tunnel carpale.

Si utilizzano:
- il test di Weber, per individuare i deficit della sensibilità discriminativa;
- il test di Semmes-Weinstein, che valuta la sensibilità cutanea con la pressione di una serie di monofilamenti.

9. La valutazione delle deformità articolari. La valutazione specifica delle deformità della mano reumatoide è effettuata impiegando la scala di Sharma (Sharma, Schumacher e McLellan 1994), la quale assegna alle singole deformità dei valori numerici:

  • 0: nessuna deformità;
  • 1: instabilità legamentosa, accorciamento delle bandellette laterali o dei muscoli intrinseci;
  • 2: deformità riducibile attivamente;
  • 3: deformità fissa o riducibile soltanto passivamente.

La scala prevede un punteggio diverso se ci si riferisce al primo raggio o alle articolazioni Metacarpofalangee (MCF), per i quali prevedono:

  • 0: nessuna deformità;
  • 1: presenza di deformità.

Trattamento riabilitativo

La riabilitazione deve sempre essere eseguita rimanendo sotto la soglia del dolore e deve tener presente l’affaticabilità del paziente con AR, spesso importante. Gli obiettivi principali del progetto riabilitativo sono la diminuzione della sintomatologia antalgica, il recupero delle prese, la ridinamizzazione della mano in funzione del gomito e della spalla nelle attività quotidiane, il reinserimento del paziente nella propria vita sociale con la minor disabilità possibile.

L’evoluzione dell’AR ha un andamento che si può schematicamente suddividere in 3 fasi: a) acuta; b) sub-acuta; c) cronica. Il piano di trattamento e gli obiettivi differiscono in base alla fase non solo della malattia, ma anche allo stadio di malattia raggiunto dal paziente.

- A. Fase acuta. Il primo obiettivo è la diminuzione dell’infiammazione e del dolore con l’utilizzo di crioterapia, di correnti antalgiche (Trans-cutaneous Electrical Nerve Stimulation, TENS), di lieve mobilizzazione attiva, passiva e assistita, e di mantenimento di posture delicate e progressive, da eseguire senza indurre dolore. Gli esercizi attivi devono essere lievi e isometrici. In caso di sinovite acuta è consigliata una mobilizzazione passiva. Lo splint da riposo è utile per prevenire contratture e scaricare le articolazioni.

- B. Fase sub-acuta. Diminuendo la flogosi, s’iniziano gli esercizi attivi contro-resistenza, gli esercizi attivi, gli esercizi di tonificazione della muscolatura ipotrofica e della muscolatura stabilizzatrice e s’inizia a istruire il paziente sull’economia articolare.

- C. Fase cronica. L’accento è posto sulla protezione delle articolazioni e sul miglioramento delle ADL con l’utilizzo di tutori funzionali che, sostenendo le articolazioni più compromesse (ad esempio splint per impugnare il coltello), assistono il paziente nell’uso della mano. Sono eseguiti esercizi isometrici e di mantenimento con lievi resistenze per aumentare la forza e la presa di un oggetto, preferendo sempre grosse prese (mano “a C”). Il rinforzo muscolare può essere isometrico, concentrico ed eccentrico (se l’articolazione situata nel mezzo della leva non è compromessa); la dinamicità dell’esercizio aumenta l’apporto di sangue e di ossigeno ai tessuti, ma non deve provocare dolore né affaticamento.

Tutti gli esercizi proposti vengono eseguiti in presenza del fisioterapista e poi eseguiti a domicilio dal paziente con un protocollo di 30 minuti al giorno per 5 giorni alla settimana.

Il rilascio miofasciale manuale o con l’ausilio di kinesiotaping, se lo stato della cute lo consente, permette di allentare la pressione della fascia sui tessuti sottostanti dando un’immediata sensazione antalgica e permette ai muscoli di detendersi. Le varie tecniche di massaggio aumentano il flusso sanguigno ai muscoli e li rilassano. Il massaggio aiuta anche a diminuire lo stress e ha un buon effetto psicologico sul paziente.

Vengono proposte delle tabelle con la suddivisione delle ADL in “lievi”, “moderate” e “complesse” e s’invita il paziente a eseguire solo quelle consigliate dal fisioterapista.

Economia articolare

Secondo la definizione formulata nel 1973 dal reumatologo L. Simon, l’economia articolare è «l’insieme dei mezzi che permettono, da una parte, di superare gli ostacoli che si presentano a ogni istante e, dall’altra, di diminuire i movimenti obbligati, per prevenire o rallentare i deterioramenti articolari». L’economia articolare è uno dei cardini della riabilitazione del malato reumatico: essa, infatti, mira a diminuire il più possibile gli sforzi e le contrazioni che si esercitano sulle articolazioni, sugli elementi muscolo-tendinei e sui legamenti, in modo da facilitare i movimenti e renderli più confortevoli quando sono dolorosi e faticosi. Il sovraffaticamento articolare, che si manifesta in occasione dei più semplici, usuali e ripetitivi gesti, è un fattore di comparsa e di aggravamento delle deformazioni.

La terapia occupazionale, complementare all’economia articolare, è una disciplina riabilitativa volta al recupero dell’autonomia nello svolgimento delle attività di base del vivere quotidiano. Essa si avvale di moltissime attività, lavorative, domestiche, d’intrattenimento e artistiche, con lo scopo finale di ridurre e prevenire le disabilità causate dalla malattia e di favorire il ripristino e/o il mantenimento delle capacità d’interazione in ambito familiare, sociale e professionale. L’espressione “terapia occupazionale” è stata coniata nel 1914 per introdurre questa nuova modalità di trattamento da applicare alle patologie sia psichiche che fisiche. È necessario fornire a ciascun paziente un’informazione chiara e dettagliata su tutte le modalità che riducono il carico articolare, cosicché quello affetto da AR possa “convivere con la propria malattia” col minimo di ostacoli e il massimo di possibilità.

L’economia articolare tende a:

  • facilitare la mobilizzazione;
  • prevenire le deformità;
  • compensare e supplire gesti quotidiani ormai divenuti impossibili.

Ai pazienti viene quindi insegnato come proteggere le proprie articolazioni e soprattutto come risparmiare energie durante l’intera giornata. L’economizzazione delle articolazioni malate può essere ottenuta adottando movimenti alternativi che riescano a sfruttare le articolazioni non compromesse dall’AR, oppure modificandone l’impiego nelle varie attività con riduzione delle sollecitazioni intrinseche, dei carichi e delle resistenze e l’utilizzo delle articolazioni soltanto nei loro piani anatomici funzionali più stabili.

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Figura 4 — Ausili per aprire bottiglie e barattoli.

Il piano di lavoro dell’economia articolare è costituito da:

  1. protezione articolare;
  2. rieducazione gestuale;
  3. rieducazione posturale;
  4. incremento delle capacità funzionali;
  5. realizzazione di ortesi o splint.

1. Protezione articolare. Proteggere le articolazioni non significa immobilizzarle forzatamente, ma controllarne con accuratezza i movimenti per eseguirli con un limitato sforzo fisico. Occorre la collaborazione del malato per individuare gli adattamenti ambientali da effettuare, in quanto la prescrizione dei sussidi tecnici dev’essere personalizzata.

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Figura 5 — Il coltello a sega per tagliare il pane.

S’insegna al paziente a tenere sempre presente, nel corso della giornata, che:

  • qualsiasi sovraccarico o carico sbilanciato può danneggiare maggiormente l’articolazione malata;
  • la ripetizione esasperata di uno stesso movimento è deleteria per l’articolazione;
  • la mancanza di riposo provoca astenia e maggior dolore articolare;
  • il lavoro troppo pesante danneggia irreparabilmente le articolazioni malate e aumenta il rischio in quelle sane.

Per prevenire gli effetti di un atteggiamento viziato è necessario stabilire un corretto rapporto tra riposo articolare e sforzo articolare.

2. Rieducazione gestuale. La rieducazione gestuale insegna a programmare i movimenti articolari in modo da far sì che anche nei gesti più semplici le articolazioni malate non vengano eccessivamente sollecitate e caricate. L’obiettivo della rieducazione gestuale è di far usare gli ausili solo nei casi di deficit di forza; mantenere la mobilità è essenziale per preservare il più possibile la funzione articolare ed evitare l’instaurarsi della disabilità. ​

Il dolore e l’infiammazione non limitano la rieducazione funzionale. I principali obiettivi del fisioterapista sono pertanto quelli di correggere, attraverso il lavoro o un’occupazione, le diverse gestualità utili al soggetto per la sua indipendenza e per relazionarsi coi familiari e l’ambiente sociale in cui vive. Sarà dunque necessario insegnargli quali sono i gesti della vita di tutti i giorni da non effettuare in quanto pericolosi, poiché favoriscono l’insorgenza di deformità articolari, e quali invece sono quelli corretti che possano sostituire o, se possibile, correggere quelli errati, in modo da farli entrare nel patrimonio gestuale proprio del paziente, sino all’instaurarsi di un automatismo.

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Figura 6 — a. Gesto che sovraccarica il bordo ulnare delle mani favorendo la deviazione ulnare delle dita. b. Gesto corretto con redistribuzione del carico e mano allineata all’avambraccio.
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Figura 7 — a. Gesto che sovraccarica il bordo ulnare delle mani favorendo la deviazione ulnare delle dita. b. Gesto corretto con redistribuzione del carico e mano allineata all’avambraccio.

Specificamente, dovrà essere insegnato al paziente a evitare movimenti come la presa termino-laterale e le prensioni forzate, che portano a un sovraccarico sul bordo radiale dell’indice con conseguente deviazione ulnare delle altre dita (Fig. 8), anche mediante l’utilizzo di ausili. Lo stesso può esser detto per la pinza termino-terminale, che facilita la sublussazione palmare delle falangi prossimali (Fig. 9).

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Figura 8 — Presa termino-laterale.

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Figura 9 — Pinza termino-terminale.

Tale presa dev’essere sostituita con una presa digito-palmare, grazie a un adattamento di fabbricazione artigianale o ad altri tipi di presa esistenti in commercio.

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Figura 10 — L’apriporta.
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Figura 11 — Penna con impugnatura grande.
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Figura 12 — Penna con adattore che aumenta la presa.
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Figura 13 — Prese corrette negli oggetti del pasto.

L’iperestensione delle interfalangee distali, associata alla pressione sui polpastrelli delle dita, può essere determinante nella formazione di deformità articolari come il “pollice a zeta”. Azioni come allacciarsi le scarpe, infilare bottoni o reggere le carte da gioco “a ventaglio” provocano uno stress articolare da evitare.

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Figura 14 — Gesto prgiudizievole: allacciarsi le scarpe.
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Figura 15 — Ausilio per reggere le carte da gioco.

3. Rieducazione posturale. La rieducazione posturale consiste nell’insegnare al paziente a riacquistare in modo stabile schemi di movimento corretti e funzionali che impediscano situazioni di compenso. Il principio fondamentale è quello di usare i muscoli e le articolazioni sui propri piani anatomici più stabili, così da ridurre il più possibile il dolore, lo sforzo articolare e la fatica, risparmiando tempo ed energia e riducendo i movimenti inutili. È utile che il paziente con AR organizzi e pianifichi tutto il suo lavoro quotidiano modificando le proprie abitudini e seguendo i seguenti consigli:

  • utilizzare le articolazioni più robuste;
  • durante gli sforzi, usare tutto il corpo;
  • eliminare il sovrappeso corporeo;
  • non mantenere la stessa posizione articolare per periodi di tempi troppo lunghi;
  • utilizzare soltanto posizioni corrette;
  • pianificare le cose da fare.

4. Incremento delle capacità funzionali. È compito del fisioterapista fornire tutte le informazioni necessarie al paziente per fargli superare gli ostacoli che si presentano quotidianamente, garantendogli la massima autonomia nelle ADL. Per ridurre lo sforzo articolare e consentire al paziente di scegliere gli oggetti da utilizzare, il fisioterapista fornisce il consiglio di ricorrere:

  • a oggetti con ruote;
  • a oggetti che fungano da leva;
  • soltanto a oggetti leggeri;
  • a prese adattate.

Usare prese adattate ha lo scopo di garantire una presa più sicura per le articolazioni danneggiate, assicurando al paziente la possibilità di afferrare oggetti piccoli, anche quando le articolazioni delle dita e della mano non si flettono completamente, riducendo così la tensione muscolare necessaria a mantenere la presa. Ad esempio, uno spessore di gommapiuma intorno a un rasoio, a una forchetta, a un coltello, a un pettine o a uno spazzolino da denti ingrandirà e renderà assai più comoda l’impugnatura, riducendo la pressione sulle articolazioni più colpite.

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Figura 16 — Posate ergonomiche.

Abbottonarsi

- Vestirsi diventa facile se s’indossano abiti ampi, facili da mettersi e da tenere in ordine, preferibilmente con l’abbottonatura anteriore. La manipolazione di piccoli bottoni si può eseguire con un apposito strumento: l’infila-bottoni.

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Figura 17 — L’infila-bottoni.

- Se risulta difficoltoso usare i bottoni, è preferibile sostituirli con un sistema adesivo, tipo velcro, funzionante con una semplice pressione. Inoltre al paziente può essere consigliato di cucire i bottoni all’esterno e di usare il velcro per chiudere dall’interno.

Igiene personale

- Il malato reumatoide per provvedere alla sua toilette ha spesso necessità di un ambiente adatto. L’utilizzo della vasca da bagno, della doccia e del wc può richiedere l’utilizzo di appositi ausili.

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Figura 18 — Vari tipi di ausili tecnici nel bagno.

- L’igiene orale può altresì essere semplificata grazie all’utilizzo di particolari ausili.

I pasti

- È importante che il paziente utilizzi tutte le comodità moderne. Utilissimo nella preparazione dei cibi è, per esempio, il forno a microonde, che, oltre a far risparmiare tempo ed energia, è facile da usare e da pulire. Il soggetto affetto da AR dev’essere indirizzato e consigliato nella scelta degli oggetti che impiega più frequentemente nella preparazione del cibo, per poter essere il più possibile autonomo.

5. Realizzazione di ortesi o splint. L’utilizzo di ortesi specifiche, realizzate secondo il bisogno e lo stato della patologia, aiuta notevolmente a proteggere le articolazioni e a vicariare le funzioni mancanti.

Ortesi o splint

In tutti gli stadi e le fasi della malattia gli splint sono un sussidio terapeutico da integrare con le altre cure fisioterapiche. Vanno confezionati su misura perché ogni deformità ha la sua peculiarità anatomica, che lo splint deve supportare e vicariare, adattandosi perfettamente alla mano e al polso del paziente.

Lo splint dev’essere costruito con materiale anallergico, lavabile e traspirante. Si prediligono materiali leggeri, con eventuali imbottiture laddove si evidenzino prominenze ossee, giacché la cute nel paziente affetto da AR è spesso sottile e facilmente ulcerabile; inoltre le articolazioni già compromesse e indebolite non sopportano tutori costruiti con materiali pesanti.

Nell’AR lo splinting ha una funzione prevalentemente antalgica, antiflogistica e di supporto; mentre, a oggi, non vi sono evidenze scientifiche che lo splint possa correggere una deformità.

Possiamo suddividere gli splint utilizzati in splint da riposo, funzionali, di correzione e post-chirurgici.

Gli splint statici da riposo hanno per lo più una funzione antalgica e di scarico di un’articolazione infiammata (ad esempio splint per il polso o per il pollice).

Gli splint funzionali hanno lo scopo di vicariare una funzione mancante e permettono delle prese funzionali utili all’autonomia del paziente (ad esempio, il “ricciolo” per la deviazione ulnare delle MCF).

Gli splint di correzione essenzialmente contengono una deformità (ad esempio, lo swan-neck o la boutonnière supportano la lesione dei tessuti molli).

Gli splint post-chirurgici, infine, hanno lo scopo di proteggere e promuovere una riabilitazione precoce dopo un intervento correttivo.

Trattamento conservativo

Polso. Secondo la classificazione di M. Merle, i danni del polso dovuti all’AR iniziano con la sublussazione dorsale della testa dell’ulna; poi si evidenziano uno spostamento palmare in supinazione della colonna ulnare del carpo e, per compenso, l’inclinazione radiale del carpo. Conseguentemente, le dita lunghe deviano dal lato ulnare per contrastare il polso.

Il polso viene trattato essenzialmente con tutori statici notturni del tipo resting position (Fig. 19): modulo base-volare, con polso a 20-30° di estensione; le MCF sono in flessione a 40°, le Interfalangee Prossimali (IFP) leggermente flesse (10-20°); la prima commissura è aperta. Il modulo base deve includere i ¾ dell’avambraccio per dare un buon sostegno.

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Figura 19 — Splint da riposo.

Tale splint è indossato essenzialmente la notte e, nelle fasi di poussée infiammatoria, anche di giorno.

Nelle fasi meno acute è possibile alternare al resting position un tutore diurno funzionale che, sostenendo il polso, permette le prese alle dita. È uno splint dorso-volare con pollice e dita liberi, testa ulnare stabilizzata dorsalmente per evitarne la sublussazione, polso in leggera estensione e inclinazione ulnare di 10°.

Sublussazione delle MCF e deviazione ulnare delle dita lunghe. Si presenta con un’evidente deviazione dal lato ulnare delle dita lunghe, associata a tumefazione delle MCF e, spesso, a lussazione della prima falange (F1). L’ipertrofia sinoviale delle MCF provoca una distensione della capsula articolare; a questo punto i legamenti collaterali si detengono con spostamento dell’orifizio della guaina sinoviale dei tendini flessori che causano lussazione volare della F1 e conseguenti stiramento e dislocamento laterale dei tendini estensori. I muscoli estensori diventano flessori e adduttori delle dita.

In fase iniziale, laddove non sia ancora presente la lussazione di F1, è possibile fabbricare uno splint diurno, detto “ricciolo”, per correggere la deviazione ulnare delle dita nella flessione delle MCF (si pone un modulo volare sotto la testa delle MCF con spinta dorso-radiale e appoggio dorsale delle alette su F1). È uno splint funzionale che permette di usare la mano in presa correggendo lo scivolamento dei tendini estensori ulnarmente.

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Figura 20 — Splint ricciolo.

Non va utilizzato quando il polso è instabile. Per la notte si confeziona uno splint di polso del tipo resting position.

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Figura 21 — Tutore statico funzionale.

Nelle ADL, laddove vengano richieste delle prese che ulnarizzino maggiormente le dita lunghe, si possono progettare delle ortesi su misura che supportino e sostengano l’inclinazione eccessiva (a discapito della funzionalità) al fine di ottimizzare un movimento e di rendere autonomo il paziente, ad esempio coadiuvando la presa del coltello.

Deformità “a collo di cigno” (o swan-neck). Si presenta con l’iperestensione dell’IFP e la flessione dell’IFD. Può avere origine a livello del polso, dove una contrattura in flessione provoca trazione sull’Estensore Comune delle Dita (ECD).

A livello delle MCF, è caratterizzata da lassità legamentosa e instabilità articolare. La sinovite delle MCF crea un dislocamento palmare di F1, con conseguente tensione sui muscoli intrinseci, i quali, contraendosi, creano una trazione sull’estensore che traziona F2. Inoltre, la rottura della placca volare a livello dell’IFP è associata a tenosinovite del tendine Flessore Lungo (FL) e rottura del Flessore Superficiale (FS), i quali non riescono a bilanciare l’azione dei muscoli intrinseci sull’estensione della seconda falange (F2). A livello dell’IFD la prevalenza del FL dà luogo al “dito a martello” secondario. Il trattamento consiste in uno splint diurno del tipo “ovalotto” (Fig. 22), in uno splint funzionale (Fig. 23) e in uno splint notturno statico volare con IFP da 0° a 20° di flessione, con MCF libera e IFD inclusa. Lo splint dev’essere indossato almeno per 8-10 settimane.

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Figura 22 — “Ovalotto”: splint per correggere l’iperestensione della IFP con tre punti di presa,volarmente IFP e dorsalmente F1 e F2.

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Figura 23 — Splint funzionale per il “collo di cigno”.

Deformità en boutonnière (o “ad asola”). Il dito si presenta con una flessione dell’IFP e un’iperestensione dell’IFD. La sinovite del tendine o della capsula articolare causa indebolimento e allungamento/rottura del tendine estensore, le bandellette laterali scivolano volarmente e iperestendono l’IFD, per cui prevale l’azione del tendine flessore superficiale che porta la IFP in atteggiamento flesso.

Lo splint, confezionato in materiale termoplastico o neopren, deve riportare progressivamente l’IFP a 0°. L’IFD è inclusa, quando sono lesionate le bandellette laterali, ed è libera se queste sono integre.

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Figura 24 — Splint in neoprene per coreggere le lesioni “en boutonnière”.
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Figura 25 — Capner, splint dinamico per il dito “en boutonnière”.

Oltre a indossare lo splint, è consigliabile eseguire esercizi di scorrimento tendineo selettivo col blocco dell’IFP per la flesso-estensione dell’IFD.

Pollice. Il pollice si presenta con una deformazione “a Z” o en boutonnière per la distruzione basale della colonna del pollice (Trapezio-Metacarpale — TMC —, ma anche trapezoide e scafoide) che determina la migrazione laterale ulnare dell’ELP (Estensore Lungo del Pollice).

È presente, invece, una deformazione “a M” o swan-neck del pollice, quando l’iperestensione della MCF e la flessione dell’IF (in seguito alla sublussazione della TMC, causata dal panno sinoviale) creano una retrazione dell’adduttore del pollice conferendogli un atteggiamento addotto.

La gravità dell’instabilità e del dolore determina la funzionalità di tutta la mano, in quanto il ruolo del pollice è fondamentale nelle prese.

Il trattamento conservativo d’elezione è il posizionamento in uno splint funzionale (cfr. cap. 7.b, sulla rizoartrosi del pollice) (Figg. 26, 27, 28), unitamente a esercizi di stretching e di rinforzo della mano e dell’avambraccio.

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Figura 26 — Splint di sostegno del police.

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Figura 27 — Splint per sostenere la colonna del pollice nelle prese, a cui si può aggiungere un aggancio per le posate.

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Figura 28 — Splint pro-scrittura.

Trattamento post-chirurgico

Post-sinoviectomia (a carico tendineo, legamentoso,capsulare o articolare). Il trattamento riabilitativo utilizza splint di polso, incluse MCF per 4 settimane. Nella I settimana viene eseguito il controllo della ferita e dell’edema, insieme a esercizi di scorrimento tendineo. Alla VI settimana è previsto il ritorno alla vita quotidiana.

Post-carpectomia

0-4 settimane dopo l’intervento. Subito dopo l’intervento il polso è posizionato da 0° a 10° di estensione in uno splint statico di avambraccio che mantiene le dita libere. Vengono iniziati esercizi attivi per le dita lunghe e il pollice. Per il controllo dell’edema post-chirurgico si applica un bendaggio del tipo Coban e si eseguono esercizi isometrici delle dita. Si effettuano esercizi di flesso-estensione di gomito e kinesi in tutti i piani scapolari per la spalla, per mantenere un buon ROM articolare.

4-6 settimane dopo l’intervento. È confezionato uno splint di polso in posizione neutra, da indossare a tempo pieno e da rimuovere solo per l’igiene personale. Si eseguono esercizi gentili AROM (Active Range Of Motion) per il polso. Sono da evitare estensione e flessione di polso e dita, per prevenire l’allungamento dei muscoli estrinseci. Vengono eseguiti trattamento della cicatrice, desensibilizzazione se necessaria e lievi attività funzionali. Sono da evitare movimenti che causino infiammazione. Si lavora sempre sotto la soglia del dolore.

6-8 settimane dopo l’intervento. Graduale svezzamento diurno dal tutore in termoplastico, che può essere sostituito da uno più leggero in neoprene; gentile AROM di polso.

Dall’VIII settimana dopo l’intervento. Si eseguono esercizi di presa leggera. E tra i 3 e i 6 mesi dopo l’intervento è previsto il ritorno al lavoro. Diversi studi danno, a un anno, un recupero di presa e di forza al 90-100 %.

Post-artrodesi parziale. Si confeziona uno splint statico d’immobilizzazione del polso in posizione neutra per 6 settimane. Dal 2° giorno viene eseguita la mobilizzazione delle dita. Dopo la VI settimana inizia la mobilizzazione del polso.

Post-tenorrafia dei tendini estensori. Il protocollo dinamico include controllo dell’edema e del dolore, confezionamento di uno splint dinamico con flessione attiva e ritorno passivo col polso a 30° di estensione e IF in estensione. Dalla I alla XV giornata si esegue la gestione della ferita e dell’edema.

Gli esercizi hanno la seguente temporalità: I settimana: 30° di flessione attiva; II settimana: 45° di flessione attiva; III settimana: 60° di flessione attiva (ritorno in estensione sempre passivo, grazie agli elastici); IV e V settimana: completa flessione delle dita (si continua a portare lo splint la notte); VI-XII settimana: completo PROM (Passive Range Of Movement) e inizio del potenziamento AROM delle dita.

Post-tenorrafia dei tendini flessori. Il protocollo dinamico include splint dorsale con polso in posizione neutra, blocco MCF a 50° e dita a 0°, per 4-5 settimane.

0-3 settimane dopo l’intervento. Si esegue una mobilizzazione passiva delle dita in flessione con ritorno attivo nello splint. Lo splint è rimosso cautamente, per eseguire gli esercizi col polso: estensione passiva di polso e flessione combinata delle dita; flessione passiva di polso e dita per evitare la contrattura dei muscoli intrinseci.

Post-artroprotesi delle MCF

3°-4° giorno. È eseguito il controllo della ferita e dell’edema. Splint statico notturno di avambraccio, incluse le dita, in estensione e spinta radiale delle dita e splint dinamico diurno con trazione sulla F1. Inizia ROM assistito nel tutore.

II settimana. Vengono iniziati la gestione dell’edema e della ferita nonché gli esercizi di deviazione radiale.

VI settimana. Si eseguono attività prensili senza il tutore.

VIII settimana. Si abbandona il tutore dinamico e s’introduce un tutore che faciliti la flessione, se la flessione MCF è minore di 50°; in caso di tensione dei muscoli estrinseci, s’introducono anche lievi esercizi di rinforzo.

3-4 mesi. Si abbandona il tutore notturno.

Se il paziente ha una buona mobilità delle IFP, otterrà meno ROM delle MCF. In tal caso, si confezionerà uno splint circolare per neutralizzare le IFP nelle prime 3-4 settimane.

I ROM stimati sono: 45° flessione MCF II dito; 60° flessione MCF III dito; 70° MCF IV e V dito.

Post-artroprotesi delle IFP

3°-5° giorno. Gestione della ferita e dell’edema; confezionamento di uno splint dinamico o statico che limiti a 40° la flessione dell’IFP e di uno splint statico notturno in estensione.

II-III settimana. Il blocco in flessione è spostato a 60°; è eseguita una gentile mobilizzazione passiva di IFP e IFD.

IV-V settimana. Sono incrementati gli esercizi alle IFD.

VI settimana. Lo splint viene abbandonato; se necessario, ne è confezionato uno pro-flessione.

VIII-X settimana. Lo splint notturno viene abbandonato, se il deficit in estensione non supera i 25°.

Terapie fisiche

Per quanto riguarda il trattamento fisico, a tutt’oggi non vi sono evidenze scientifiche che ne raccomandino l’utilizzo. Tuttavia, un recente studio ha dimostrato nel paziente con AR l’efficacia degli ultrasuoni, adoperati per il loro effetto antalgico e antiflogistico, unitamente alla fisiochinesiterapia.

Crioterapia e paraffinoterapia. La crioterapia, somministrata con hot-cold pack o con borse del ghiaccio con ghiaccioli e acqua, oppure immergendo le mani in lenticchie secche e crude mantenute nel frigorifero (Fig. 29), va somministrata per 10 minuti più volte al giorno, nelle fasi acute infiammatorie. È sconsigliata nei pazienti con fenomeno di Raynaud e nelle condizioni che preludono a neuropatie periferiche. L’applicazione di calore con hot-cold pack, paraffinoterapia o bagni caldi non dev’essere somministrata per più di 20 minuti per seduta ed è essenziale nelle fasi di rigidità per rilassare la muscolatura soltanto qualora l’AR sia in remissione.

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Figura 29 — Crioterapia mediante immersione della mano in lenticchie fredde.

Elettrostimolazione. L’elettrostimolazione muscolare e quella antalgica (TENS) (Fig. 30) favoriscono il rilascio di endorfine e, aumentando lo scorrimento tissutale, incrementano il flusso di sangue ai tessuti. Sono pertanto utili sul dolore e sulla funzione. La stimolazione muscolare può coadiuvare il rinforzo muscolare e aumentare la resistenza e l’elasticità dei tessuti.

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Figura 30 — Splint funzionale per il “collo di cigno”.