Parte seconda
5. I reumatismi infiammatori

5.f Il trattamento riabilitativo nella spondilite anchilosante. Evidenze scientifiche

La Spondilite Anchilosante (SA) è una malattia reumatica infiammatoria che colpisce selettivamente lo scheletro assiale e che, col passare del tempo, determina dolore, notevole rigidità, ridotta mobilità, alterazioni posturali del rachide e grave disabilità.

L’approccio terapeutico ottimale alla SA è multidisciplinare e include una combinazione di trattamenti farmacologici e non-farmacologici. All’interno di questi ultimi, secondo l’aggiornamento delle raccomandazioni ASAS/EULAR (Assessment in Ankylosing Spondilytis/European League Against Rheumatism), sono compresi educazione al paziente, regolare esercizio fisico, fisiocinesiterapia individuale o di gruppo, associazioni di pazienti e gruppi di auto-aiuto1.

Sino all’utilizzo dei farmaci inibitori del Tumor Necrosis Factor-α (anti-TNF-α) la riabilitazione rappresentava l’unico approccio terapeutico capace di contrastare le modificazioni posturali e l’evoluzione in anchilosi della SA. I primi studi sull’utilità del trattamento riabilitativo della SA sono stati pubblicati negli anni Novanta del secolo scorso ed evidenziano l’utilità della riabilitazione sulla motilità del rachide e sull’espansione toracica2 nonché la maggior efficacia del trattamento in gruppo, rispetto agli esercizi domiciliari3.

Anche nell’era dei farmaci biologici, la riabilitazione rimane un caposaldo del trattamento della SA, qualunque sia lo stato evolutivo della malattia. Alcuni studi hanno dimostrato che l’associazione della terapia anti-TNF-α con la riabilitazione o con la terapia occupazionale è più efficace delle terapie utilizzate separatamente su funzione fisica, disabilità, qualità di vita e dolore4. Un altro studio ha rilevato che in pazienti stabilizzati da terapia con anti-TNF-α l’aggiunta della riabilitazione migliorava maggiormente, rispetto a un programma educazionale, l’espansibilità del torace, l’attività di malattia e la mobilità del rachide5.

Peraltro, la sola terapia farmacologica non sembra sufficiente nel trattamento della SA. McLeod et al. (20076), in una review che prendeva in considerazione 9 studi randomizzati in pazienti con SA in cura con farmaci inibitori del TNF-α (adalimumab, etanercept e infliximab), hanno rilevato che dopo 12 settimane di trattamento il 70-90% pazienti non raggiungeva la remissione di malattia valutata come risposta “ASAS 70”.

Secondo l’opinione di un gruppo di esperti internazionali, l’efficacia della fisioterapia nei pazienti con SA che presentano interessamento sia assiale che periferico è attestata all’86-92%. Essa è considerata importante, e perciò indicata, sia nella SA in fase iniziale (< 2 anni dalla diagnosi), dall’88% degli esperti, sia in quella presente da 2-10 anni, dal 94% degli esperti, sia nel caso di limitazioni articolari (98% degli esperti), sia in assenza di limitazione della mobilità del rachide e di alterazioni posturali (84% degli esperti). Il 47% degli esperti ritiene che potrebbe essere efficace anche in quadri di anchilosi spinale completa7.

Nella SA gli obiettivi generali della riabilitazione sono:

  • riduzione del dolore e della rigidità articolare;
  • mantenimento delle escursioni articolari a livello del rachide e delle articolazioni periferiche;
  • prevenzione dell’ipotrofia muscolare, delle deformità e delle anchilosi articolari;
  • mantenimento della funzione respiratoria;
  • miglioramento della postura, della funzione e della qualità di vita.

L’efficacia nel raggiungimento di tali obiettivi dipende dalla precocità dell’inizio del trattamento potendo avere finalità preventive rispetto a quelle solamente riabilitative della fase avanzata.

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Figura 1 — Malato con spondilite anchilosante in fase avanzata.

Il trattamento riabilitativo deve essere mirato alla fase evolutiva della malattia, differenziato in fase acuta e fase post-acuta e focalizzato in particolar modo sul rachide, per contrastarne il progressivo irrigidimento e preservarne la massima funzionalità.

Le metodiche utilizzabili nel trattamento riabilitativo della SA possono essere molteplici, tuttavia nessuna di esse si è dimostrata più efficace delle altre.

- Programmi educazionali

- Terapia occupazionale ed economia articolare

- Esercizi domiciliari

- Fisiochinesiterapia (sessioni di esercizi con controllo del fisioterapista, singole o in gruppo)

- Fisiochinesiterapia respiratoria

- Tecniche con approccio globale: idrochinesiterapia, rieducazione posturale globale, Tai Chi, Pilates

- Terapie fisiche (elettroterapia, ultrasuoni, laser ecc.)

- Agopuntura

Tabella 1 — Metodiche riabilitative nella SA.

A oggi, infatti, non ci sono protocolli di trattamento più raccomandati di altri. Per questo motivo sono necessari ulteriori ricerche che includano interventi riabilitativi e non-farmacologici comunemente usati nel trattamento della SA, ma per i quali esistono poche evidenze in letteratura, come tecniche di terapia manuale, elettroterapia, programmi d’informazione ed educazione sanitaria8.

In ogni modo, caratteristiche imprescindibili che devono rispettare l’esercizio fisico e la riabilitazione nei pazienti con SA sono la personalizzazione del trattamento, che dev’essere adattato alle caratteristiche di ogni singolo soggetto, e la sua esecuzione in assenza di dolore. Affinché risultino efficaci, la riabilitazione e l’esercizio fisico devono essere eseguiti con regolarità e con costanza. Quindi, è necessaria un’alta compliance da parte del paziente verso gli esercizi, i cui movimenti devono essere gradevoli, sicuri, lenti, armoniosi, accompagnati da una corretta respirazione e preposti a non provocare dolore. Infatti, se gli esercizi causano dolore, vengono abbandonati o provocano e peggiorano i problemi articolari, risultando addirittura controproducenti9.

A parte esercizi e percorsi riabilitativi specifici, i pazienti con artriti infiammatorie, e quindi anche con SA, dovrebbero eseguire regolarmente, compatibilmente con le loro problematiche, attività fisica, intesa come «ogni movimento corporeo prodotto dalle contrazione dei muscoli scheletrici che si traduce in aumento della spesa energetica» (OMS, 2015). Secondo le raccomandazioni dell’American College of Rheumatology (ACR), essi dovrebbero fare almeno 30 minuti di attività fisiche d’intensità moderata (come la camminata veloce) per 3 giorni alla settimana o, complessivamente, 90 minuti alla settimana10.

La «Cochrane Review» pubblicata nel 2008, che rivede gli interventi fisioterapici nella SA, prende in considerazione:

  • esercizi domiciliari e programma educativo;
  • terapia individuale;
  • terapia di gruppo;
  • idrochinesiterapia.

Secondo i risultati di tale review, l’intervento riabilitativo risulta efficace. Nei lavori presi in considerazione dalla review in oggetto, che confrontavano gli esercizi domiciliari col non-intervento, complessivamente i pazienti con SA trattati miglioravano nella mobilità del rachide e delle grandi articolazioni, nell’abilità funzionale, nel dolore e nella depressione11.

Lavori pubblicati successivamente alla «Cochrane Review» hanno dimostrato l’efficacia di un programma di esercizi domiciliari sui muscoli respiratori e sullo stato funzionale12 nonché l’efficacia di un’associazione di esercizi domiciliari e mobilizzazioni manuali su postura, mobilità del rachide ed espansione toracica13.

Nel confronto tra un programma riabilitativo di gruppo supervisionato da un fisioterapista e uno di esercizi domiciliari, si rilevava efficacia maggiore del primo, rispetto al secondo, sulla mobilità del rachide e sullo stato psicologico e globale di salute14. I protocolli supervisionati prevedevano esercizi per la mobilità articolare periferica e per il rachide, uniti a esercizi respiratori e posturali15 e attività sportiva16. In un altro studio, però, sia il programma di esercizi domiciliari che quello di gruppo, supervisionato dal fisioterapista, miglioravano in modo equivalente l’attività di malattia, la mobilità e la qualità di vita e veniva sottolineato il minor costo del trattamento domiciliare17.

Il maggiore miglioramento dei pazienti che partecipano a gruppi rispetto a coloro che fanno esercizi a casa può essere attribuito anche al contributo di fattori non-fisici presenti in una situazione di gruppo, importanti per il benessere del paziente, come la maggiore compliance derivante da incoraggiamento reciproco e condivisione di esperienze con gli altri partecipanti18.

Sebbene pochi articoli siano stati pubblicati sull’argomento, la riabilitazione può avere un ruolo anche nel management dell’Artrite Psoriasica (AP), soprattutto nelle forme a impegno assiale. Infatti, il trattamento riabilitativo è stato considerato dal GRAPPA (Gruppo di ricerca e valutazione della psoriasi e dell’artrite psoriasica), come parte del trattamento dell’AP assiale19.

Le tecniche globali sono importanti nella riabilitazione della SA, data l’estensione delle compromissioni articolari, per evitare aggiustamenti posturali e gestuali di compenso e per migliorare la forza muscolare e lo stato generale di salute.

In un articolo riportato nella «Cochrane Review», un programma di rieducazione posturale globale (trattamento delle catene muscolari) ha sortito miglioramenti più importanti e mantenuti per un tempo maggiore nella mobilità e nella funzione del rachide, rispetto a un programma di trattamenti convenzionali (esercizi per mobilità e flessibilità del rachide, espansione toracica, stretching).

Nella SA la riabilitazione in ambiente acquatico e termale, che include idrochinesiterapia e balneoterapia, è di comprovata utilità. La prima è l’applicazione in ambiente acquatico della fisiochinesiterapia e permette l’esecuzione di molti esercizi in scarico completo, coinvolgendo, oltre alla sfera motoria, anche quella sensoriale e psicologica dei pazienti. La balneoterapia utilizza invece bagni contenenti acque minerali termali a una temperatura intorno ai 34° C, forniti da soli o nell’ambito di terapie termali.

In uno studio, citato ancora dalla «Cochrane Review», i pazienti con SA sono stati suddivisi in 3 gruppi:
- a) uno trattato con balneoterapia, idrochinesiterapia e fisiocinesiterapia di gruppo per 3 settimane;
- b) uno, con balneoterapia e idrochinesiterapia, più esercizi domiciliari;
- c) uno, soltanto con esercizi domiciliari.
Nei gruppi trattati con l’idrochinesiterapia è stato rilevato un maggior miglioramento del dolore e della rigidità subito dopo il trattamento, che però non è stato mantenuto nel follow up20.

La validità degli esercizi in acqua nella SA è stata confermata da due recentissimi studi svolti in Turchia e in Norvegia. Sia l’idrochinesiterapia che gli esercizi domiciliari (eseguiti per 4 settimane) miglioravano i parametri di malattia, ma un maggiore effetto su dolore e qualità di vita è stato rilevato nel gruppo che eseguiva gli esercizi in acqua. Effetti positivi su funzione e attività di malattia sono stati confermati anche in un gruppo di pazienti con SA valutati retrospettivamente, che avevano eseguito un trattamento intensivo di 14 giorni includente esercizi giornalieri in acqua ed esercizi in palestra21.

Per quanto riguarda la terapia termale, in studi effettuati in Austria, Olanda e Turchia i gruppi che eseguivano, oltre alla fisiochinesiterapia, anche la terapia termale, riportavano un maggiore miglioramento dei parametri di malattia, compresi lo stato di salute globale e la qualità di vita.

Uno studio prospettico turco della durata di 3 settimane suddivideva i pazienti con SA in 3 gruppi:
- a) il primo eseguiva balneoterapia termale;
- b) nel secondo, alla balneoterapia si aggiungevano Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS);
- c) il terzo assumeva soltanto FANS.
Tutti i partecipanti eseguivano esercizi respiratori e posturali. In ciascun gruppo miglioravano tutti i parametri clinici e clinimetrici valutati, alla fine dello studio e dopo 6 mesi, ma il miglioramento era maggiore nei gruppi che eseguivano balneoterapia.

Per quanto riguarda l’effetto sinergico della terapia termale e degli inibitori del TNF-α nei pazienti con SA, lo studio di Colina et al. (200922), della durata di 6 mesi, ha riscontrato un miglioramento maggiore nel gruppo di pazienti che, oltre ad assumere etanercept, eseguiva terapia termale. Un successivo studio italiano, della stessa durata, valutava 2 gruppi di pazienti in terapia con inibitori del TNF-α, uno dei quali eseguiva 10 sessioni di terapia termale (fango- e balneoterapia) e idrochinesiterapia. I parametri di malattia miglioravano significativamente solo in quest’ultimo gruppo.

Dalla «Cochrane Review» si è evidenziato che l’intervento riabilitativo è sempre migliore rispetto al non-intervento, che l’esercizio fisico svolto in gruppo sotto la supervisione di un fisioterapista conduce a risultati migliori rispetto alla pratica degli esercizi domiciliari e che l’associazione con l’idrochinesiterapia ha un effetto aggiuntivo rispetto alla sola terapia di gruppo23.

Queste conclusioni risultano in accordo con quelle delle raccomandazioni ASAS/EULAR, che sottolineano l’importanza della pratica regolare dell’esercizio fisico ed evidenziano l’efficacia anche dell’esercizio fisico domiciliare, seppure con benefici inferiori rispetto alla pratica dell’esercizio guidato da un supervisore, a terra o in acqua, individuale o in gruppo.

Le terapie mente-corpo sono interventi che impiegano una varietà di tecniche miranti a favorire la capacità della mente di agire sulla funzionalità e sui sintomi del corpo. Hanno un effetto positivo anche sullo stato emotivo del paziente, riducendo i meccanismi di potenziamento del dolore provocati dal disagio psicologico, frequente nei pazienti reumatici, e consentono loro di svolgere un ruolo attivo e responsabile nel processo riabilitativo.

Nella SA, in letteratura, ci sono evidenze dell’efficacia del Tai Chi, in quanto un ciclo di esercizi di tale metodica effettuato in palestra, seguito da esercizi domiciliari sempre di Tai Chi, migliorava l’attività della malattia e la flessibilità del rachide, rispetto a un gruppo di controllo24.

Nella SA mancano evidenze dell’efficacia delle terapie fisiche, come agopuntura, Trans-cutaneous Electrical Nerve Stimulation (TENS) e laser25. La sauna a infrarossi, che causa un’ipertermia total-body, sembra invece capace di ridurre dolore, rigidità e affaticabilità, senza riacutizzare la malattia26.

Anche se gli studi pubblicati in letteratura sulla riabilitazione nella SA hanno limiti, come lo scarso rigore metodologico, la valutazione di campioni ristretti e non omogenei, la scarsa descrizione dei contenuti dell’intervento, la mancanza di follow up a lungo termine e un grado di evidenza dei risultati medio-basso, possiamo concludere che nella SA:

- l’esercizio, di qualsiasi tipo, è migliore del non-intervento;
- l’esercizio con supervisione è migliore dell’esercizio non supervisionato;
- la terapia di gruppo è migliore della terapia individuale e degli esercizi domiciliari;
- l’associazione con la balneoterapia ha un effetto aggiuntivo rispetto alla sola terapia di gruppo;
- non è possibile definire quale sia il metodo migliore in assoluto da adottare per l’esercizio terapeutico.