Parte seconda
8. La fibromialgia

8.a La fibromialgia: la malattia

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La Sindrome Fibromialgica o Fibromialgia (FM) è una malattia cronica caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico diffuso, associato a un corteo di sintomi di accompagnamento, tra cui affaticabilità, turbe del sonno e dell’umore, sintomi somatici e cognitivi. I sinonimi utilizzati per descrivere questo complesso quadro clinico sono stati numerosi; tra i più noti quello di “fibrosite” coniato nel 1904 da sir William Gowers. Il termine “fibromialgia”, introdotto invece nel 1976 da Hench, evidenzia il dolore presente nei muscoli e nelle strutture fibrose connettivali (tendini-legamenti). Nella classificazione delle malattie reumatiche della Società Italiana di Reumatologia la FM è inserita tra i reumatismi extrarticolari.

Epidemiologia

La FM è una malattia assai diffusa, tuttora sottostimata e raramente diagnosticata, la cui prevalenza nella popolazione generale è stimata tra il 2 e il 4%; è molto più frequente nel sesso femminile (90%), con due picchi d’insorgenza nelle fasce di età tra i 25 e i 35 anni e tra i 45 e i 55. Pertanto, per quanto sia sottodiagnosticata, in Italia ne sarebbero comunque affette circa 2 milioni di persone. In circa il 6.4% la FM presenta aggregazione familiare (soprattutto mamma-figlia).

Eziopatogenesi

La FM è il prototipo delle sindromi da ipersensibilizzazione centrale (comprendenti l’emicrania, la sindrome del colon irritabile, i disturbi temporo-mandibolari, la sindrome da fatica cronica, la cistite interstiziale/sindrome uretrale femminile, la sindrome delle gambe senza riposo e altre).

La sensibilizzazione è un processo in cui lo stimolo necessario per generare una risposta diminuisce nel tempo, mentre l’ampiezza della risposta allo stimolo aumenta, dando origine a ipersensibilità agli stimoli dolorosi che sul piano clinico si manifesta come iperalgesia (risposta esagerata a uno stimolo doloroso) e allodinia (dolore provocato da stimolo non doloroso).

A un primum movens doloroso periferico seguirebbe un’alterazione della modulazione del dolore dovuto allo squilibrio dei neurotrasmettitori che intervengono nel controllo sovraspinale della nocicezione: in particolare sarebbero presenti una diminuita attività dei neurotrasmettitori inibitori (serotonina, noradrenalina ecc.) e un’aumentata attività di quelli eccitatori (sostanza P, glutammato e altri amminoacidi). Ciò potrebbe produrre un’amplificazione, piuttosto che un’estinzione, dell’evento doloroso e la sua espansione oltre gli abituali territori d’innervazione; s’instaurerebbe così la diffusione estrema del dolore, di cui la FM rappresenta l’esempio più emblematico.

Uno dei neurotrasmettitori maggiormente coinvolti nella FM sembra essere la serotonina, la quale, oltre a modulare la sensibilità al dolore, interviene nella regolazione del sonno non-REM (Rapid Eyes Movement) e nei meccanismi che controllano il tono dell’umore.

L’identificazione nella FM di polimorfismi genetici che codificano sostanze coinvolte nel metabolismo dei neurotrasmettitori, in particolare del sistema serotoninergico, ne spiegherebbe la familiarità.

Tra i fattori scatenanti in grado d’indurre la sensibilizzazione centrale e periferica si riscontrano, più spesso nel maschio, importanti traumi fisici (incidenti automobilistici, interventi chirurgici), mentre, nella donna, traumi psicologici (abusi e maltrattamenti in famiglia, ingiustizie affettive e lavorative, situazioni familiari conflittuali, problemi dei figli), oltre a eventi catastrofici (guerre, disastri naturali), infezioni e alterazioni ormonali (menopausa).

Le sindromi da ipersensibilizzazione centrale sono caratterizzate:

  1. dalla natura sine materia del dolore e degli altri sintomi, cioè dalla mancanza di una patologia organica sottostante;
  2. dalla presenza di una serie di sintomi comuni, quali astenia, disturbi del sonno, iperalgesia, allodinia;
  3. dalla concomitanza di disturbi psichici (depressione, ansia, ipocondria, insonnia, attacchi di panico).

A tal riguardo, erroneamente la FM è stata considerata a lungo (e ancora oggi, pure da molti medici) una sindrome psicosomatica nella quale i disturbi psichiatrici generano il dolore sine materia.

La scoperta dell’alterazione della processazione emotiva degli stimoli dolorosi nelle sindromi da ipersensibilizzazione centrale ha definitivamente posto fine alla questione. È stato infatti scoperto che i centri nervosi del cosiddetto “core emotivo”, costituito principalmente da amigdala, ippocampo, corteccia orbitofrontale e corteccia cingolata anteriore, sono i principali fattori coinvolti nelle risposte comportamentali (emozionale, cognitiva, autonomica) allo stress. Essi rappresentano i regolatori primari del cosiddetto adattamento allostatico (od omeostatico), ossia della capacità dell’organismo di rispondere in anticipo alle minacce con un eccitamento finalizzato a mantenere un ambiente interno stabile. In corso di FM la disfunzione dell’amigdala porterebbe a un’alterata processazione della componente emotivo-affettiva del dolore, con cronicizzazione dello stesso e mancata assuefazione allo stress, e sarebbe la responsabile della comorbilità dei disturbi emotivi (tra l’altro, sono state riscontrate anche associazioni tra l’attivazione dell’amigdala e la regione polimorfica del gene trasportatore della serotonina). Questo potrebbe essere l’anello di congiunzione tra la cronicizzazione del dolore e l’alta comorbilità per disturbi emotivi che smentisce l’interpretazione della FM come malattia psicosomatica, la quale rappresenta un’importante aggravante della sofferenza dei malati fibromialgici e della loro perdita di fiducia nella classe medica.

Manifestazioni cliniche

Il quadro clinico della FM è alquanto vario; il sintomo predominante è il dolore. Nel 95% dei casi il paziente riferisce un dolore continuo e diffuso sia al tronco sia agli arti, che talora, all’inizio, può interessare una sola regione, come le spalle, la regione cervicale o quella lombare. Secondo i criteri classificativi dell’American College of Rheumatology (ACR, 1990) per diagnosticare la FM occorre un storia di dolore diffuso da almeno 3 mesi; il dolore è considerato diffuso quando sono presenti tutte le seguenti localizzazioni: dolore al lato sinistro del corpo, dolore al lato destro, dolore al di sopra della vita, dolore al di sotto della vita, dolore scheletrico assiale in almeno una sede (rachide cervicale, dorsale o lombo-sacrale, torace anteriore).

Il dolore è esacerbato da stimoli ambientali (aria condizionata, umidità) e psicologici e dall’affaticamento. Viene descritto dal paziente in maniera molto varia, come sensazione di bruciore, rigidità, tensione, come un crampo, un taglio, una scossa, una pugnalata, una bruciatura o la sensazione di essere contuso dappertutto. Causa disabilità al paziente, che, per diminuirne l’intensità, riduce le attività fisiche, quotidiane e lavorative, in casi estremi arrivando a provocare la completa immobilità del malato, il quale resta tutto il giorno seduto o a letto. L’intensità del dolore dei pazienti fibromialgici è risultata superiore a quella dei pazienti con Artrite Reumatoide (AR) e più disabilitante rispetto alle altre malattie reumatiche, in quanto si accompagna a maggiore disagio psicologico. Il paziente descrive il dolore con espressioni del tipo “Mi fa male dappertutto”, oppure “Ovunque mi si tocchi, sento male”.

Sono presenti zone d’intensa dolorabilità, i cosiddetti tender points, la cui presenza era inclusa nei criteri classificativi ACR della malattia del 1990. I tender points definiti da tali criteri sono 18 (9 per lato), sono costanti nella loro posizione e corrispondono a punti di dolorabilità rilevabili con la digitopressione (applicando una forza di circa 4 kg). In genere si trovano in corrispondenza delle inserzioni dei tendini alle prominenze ossee o nei punti di transizione tra muscolo e tendine (o entesi).

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Figura 1 — Tender points.

Nei criteri classificativi dell’American College of Rheumatology del 2010 la presenza dei tender points è sostituita da un indice denominato “Widespread Pain Index (WPI)”, indice di diffusione del dolore, che rileva, mediante un questionario, la presenza del dolore in 19 aree specifiche, con punteggio da 0 a 19.

1. Zona scapolare sinistra 11. Gamba sinistra
2. Zona scapolare destra 12. Gamba destra
3. Braccio sinistro 13. Mascella sinistra
4. Braccio destro 14. Mascella destra
5. Avambraccio sinistro 15. Petto
6. Avambraccio destro 16. Addome
7. Anca sinistra 17. Rachide cervico-dorsale
8. Anca destra 18. Rachide lombosacrale
9. Coscia sinistra 19. Collo
10. Coscia destra

Tabella 1 — Indice di diffusione del dolore: Widespread Pain Index (WPI).

Il dolore si accompagna molto frequentemente a rigidità (84-91%), in genere inferiore a 1 ora, generalizzata o localizzata al tronco, che si presenta soprattutto al risveglio (rigidità mattutina) o in seguito al mantenimento prolungato della stessa posizione, ma anche la sera dopo una giornata lavorativa.

La FM, oltre al dolore, comprende una grande varietà di sintomi, qui sotto elencati.

L’affaticamento e l’astenia sono sintomi riferiti dalla quasi totalità dei pazienti, che spesso possono divenire predominanti ed essere percepiti come prevalenti rispetto alla sintomatologia dolorosa. La ridotta resistenza alla fatica, la stanchezza e la debolezza possono aggravarsi fino all’estrema difficoltà a svolgere qualsiasi movimento (pazienti allettati). Le conseguenze rilevanti sono la forte difficoltà a compiere le normali attività quotidiane, ma interessano anche le sfere intellettuale, affettiva e psicologica. L’astenia dei pazienti con FM è identica a quella riscontrabile in una patologia denominata “sindrome da affaticamento cronico”, finora ritenuta una diversa entità. In realtà le due sindromi spesso si sovrappongono e può essere impossibile distinguerle.

Anche i disturbi del sonno sono costanti nei pazienti fibromialgici e comportano l’accentuazione, al momento del risveglio, del dolore e dell’astenia. Oltre alla difficoltà all’addormentamento, il paziente ha un sonno turbato da frequenti risvegli notturni e non ristoratore, per alterazioni del sonno non-REM, in particolare della fase del sonno profondo, nella quale i muscoli si rilassano e recuperano la stanchezza accumulata durante il giorno. All’elettroencefalogramma si riscontra l’“anomalia alfa-delta”, un pattern d’intrusione di onde alfa su ritmo delta, corrispondente al fatto che, non appena viene raggiunto il sonno profondo (presenza di onde delta all’elettroencefalogramma), avviene un brusco ritorno al sonno superficiale (onde alfa).

Disturbi dell’umore quali ansia e depressione, ma anche ipocondria e attacchi di panico, sono presenti nel 60% dei pazienti con FM. La loro presenza ha indotto a interpretare la malattia come psicosomatica. In realtà soltanto il 25-30% dei pazienti è realmente depresso.

Oltre al dolore cronico e ad altri sintomi invalidanti concorre al disagio psichico la mancanza di organicità della malattia, a causa della quale il paziente non può dimostrare la propria sofferenza e quindi non è compreso nell’ambito familiare e lavorativo, né, spesso, dai numerosi consulenti a cui si rivolge.

La sintomatologia ansioso-depressiva, oltre a incidere negativamente sulla qualità di vita del paziente, ne rende più difficoltosa la gestione, aggravandone la prognosi.

È descritta una personalità fibromialgica, caratterizzata da alcuni tratti come perfezionismo, necessità di ordine e pianificazione, pulizia eccessiva, difficoltà a rilassarsi, ipercontrollo della rabbia, bassa autostima, tendenza all’ipocondria, scarse capacità adattive, tendenza ad adottare il ruolo del malato, pessimismo. Tuttavia non è agevole differenziare quali tra questi tratti possano considerarsi primari, pre-morbosi e favorenti l’insorgenza della malattia, e quali secondari alla presenza dei sintomi.

La cefalea, soprattutto nucale, muscolotensiva, ma anche temporale, sovraorbitaria, mascellare o mandibolare, oppure l’emicrania sono comuni nel paziente fibromialgico. A volte il mal di testa è diffuso a tutto il cuoio capelluto, il cui semplice sfioramento riacutizza in maniera drammatica il dolore.

Costanti sono i disturbi della percezione, quali parestesie a distribuzione non metamerica, sotto forma di formicolii diffusi a tutto il corpo o limitati a un emisoma o agli arti, sensazione di punture di aghi, d’intorpidimento o di “addormentamento” di un arto, sensazioni anomale di freddo o di caldo intenso diffuse a tutto il corpo o agli arti.

I disturbi della percezione si manifestano anche come sensazione di gonfiore soprattutto alle mani e ai piedi, più spesso mattutina, che può indurre a porre erroneamente diagnosi di AR. Talora concomita un’alterata attività vasomotoria, che può aumentare tale disturbo e determinare arrossamento delle mani o vasospasmo da freddo sino a un vero e proprio fenomeno di Raynaud.

Questi sintomi sono correlati ad alterazioni del sistema nervoso vegetativo (inquadrabili nelle alterazioni del sistema nervoso centrale descritte) che in passato sono state ritenute la causa della sindrome stessa, che veniva pertanto curata con i “blocchi” del simpatico.

Un’altra conseguenza dello squilibrio del sistema vegetativo è la sindrome sicca, presente in molti pazienti con xeroftalmia, che rende difficile la diagnosi differenziale con la sindrome di Sjögren.

Sintomi comuni sono pure le alterazioni dell’equilibrio, che si manifestano in genere come senso d’instabilità e di sbandamento, ma anche come vere e proprie vertigini.

Nel 60% dei malati è presente la sindrome del colon irritabile, la cosiddetta “colite spastica”: alternanza di stipsi e diarrea, con dolori addominali e meteorismo.

Il dolore si manifesta anche come dismenorrea,vaginismo, o sindrome uretrale femminile caratterizzata da pollachiuria, disuria e dolore sovra-pubico. Più di rado si può sviluppare una condizione cronica con dolore a livello vescicale, definita “cistite interstiziale”.

Il dolore alla gabbia toracica, specialmente se accompagnato da tachicardia con cardiopalmo, è causa di notevole ansia e di frequenti visite al Pronto Soccorso.

Sono presenti e cause di malessere anche sintomi cognitivi quali confusione mentale, difficoltà a concentrarsi, perdita della memoria a breve termine (fibro-fog, cioè “annebbiamento fibromialgico”), sensazione di testa vuota.

È presente contrattura muscolare generalizzata o localizzata. Quest’ultima comporta la formazione dei cosiddetti noduli fibrositici, rotondeggianti o cordoniformi, di consistenza aumentata, dolorabili alla pressione, ai quali non viene più data la rilevanza di un tempo.

Agli arti inferiori sono spesso presenti crampi e talora la cosiddetta sindrome delle gambe senza riposo, consistente in movimenti incontrollati delle gambe soprattutto a riposo, nelle ore serali e notturne. Tale sindrome è classificata, come la sindrome da affaticamento cronico, la sindrome uretrale femminile e quella del colon irritabile, tra le sindromi da sensibilizzazione centrale: sono entità dai contorni non ben definiti, tutte presenti nella complessa sintomatologia della FM.

Diagnosi

È di grande importanza una diagnosi precoce per evitare non solo l’aggravamento dei sintomi della FM, ma anche l’instaurarsi di circoli viziosi come dolore-disturbi dell’umore, dolore-immobilità, che ne rendono complessa la gestione.

Infatti la FM persiste parecchi anni, se non tutta la vita, e causa riduzione della qualità di vita al pari o più dell’AR. I pazienti fibromialgici hanno sintomi invalidanti, come il dolore cronico, i disturbi del sonno, la cefalea, la stanchezza e segnalano difficoltà nell’espletamento delle attività della vita quotidiana, maggiori di quelle dei malati con AR; molti arrivano a considerarsi disabili e cessano l’attività lavorativa. Ne è una dimostrazione il fatto che nei Paesi dov’è riconosciuta malattia invalidante (Stati Uniti, Svezia, Norvegia), la FM è la causa più frequente di richiesta di pensione d’invalidità.

Queste considerazioni devono impegnare tutti gli operatori sanitari a effettuare una diagnosi precoce.

Tuttavia, non poche sono le difficoltà diagnostiche e lunga è in genere la latenza prima della diagnosi; il paziente con FM ha, purtroppo, quasi sempre alle sue spalle una storia pluriennale di consulenze mediche, esami e terapie di tutti i tipi, che comporta notevoli costi e produce la sua sfiducia negli operatori sanitari e nelle terapie nonché aggravamento dei disturbi dell’umore.

La difficoltà diagnostica nasce dal fatto che la FM è comunque una patologia benigna che non provoca lesioni agli organi, né alterazioni negli esami di laboratorio, né danni radiologicamente evidenziabili; il malato con FM ha un aspetto sano e, a una visita non accurata, non è facilmente ritenuto malato.

Gli esami di laboratorio mostrano indici di flogosi e dosaggio degli enzimi muscolari sierici nella norma, data l’assenza di flogosi e di danno muscolare. Per gli stessi motivi, le biopsie muscolari nei muscoli dolenti rilevano soltanto la presenza di alterazioni aspecifiche delle fibre muscolari, senza valore diagnostico. Gli esami di diagnostica per immagine mostrano spesso solo comuni alterazioni osteoartrosiche, le cui diagnosi e cura fanno perdere ulteriore tempo alla diagnosi di FM.

L’esame elettromiografico non rivela reperti patologici né a riposo né sotto sforzo, mentre nella nostra esperienza si è rivelato assai utile il test ischemia-iperpnea, che, con la frequente comparsa nei pazienti fibromialgici di doppiette, triplette e poliplette, rivela uno stato d’ipereccitabilità che conferma il sospetto diagnostico di FM.

Un’importante difficoltà diagnostica deriva dall’atteggiamento con cui il paziente si pone durante la visita, che rende molto impegnativa la comunicazione medico-paziente. Sovente, infatti, il malato con FM teme di essere etichettato come “psicosomatico”, soprattutto in presenza di familiari, e tende a esagerare i suoi sintomi per essere creduto; è particolarmente meticoloso nella descrizione di questi ultimi e porta spesso con sé un diario con tutte le informazioni dettagliate su di essi. Il medico viene messo a dura prova e deve guadagnarsi la fiducia e la stima del paziente, per potergli essere utile.

L’anamnesi costituisce il momento fondamentale, oltre che per acquisire le uniche informazioni utili a scopo diagnostico, anche per indirizzare l’andamento dell’interazione medico-paziente e determinare la possibilità di cura del paziente. La FM risulta la malattia che provoca maggiori frustrazioni al medico, per la difficoltà di relazionarsi al paziente. Di sicuro è utile che il reumatologo si “specializzi” nella cura del malato con FM. Nella visita è di fondamentale importanza dedicare tutto il tempo necessario a un attento ascolto delle parole del paziente e alle modalità della sua esposizione (pause, pianti, platealità), che ne rivelano lo stato emotivo, le problematiche nei rapporti interpersonali e le situazioni stressanti. Altrettanto importante è dare al malato la percezione di essere ascoltato e capito, chiarendo che i sintomi sono reali, non immaginari, che fanno parte della FM, e rassicurarlo con informazioni precise sulla malattia.

La varietà dei sintomi della FM è un’altra difficoltà diagnostica per le numerose malattie da porre in diagnosi differenziale, in particolare l’AR, la sindrome di Sjögren, la sindrome miofasciale, la polimialgia reumatica e l’ipotiroidismo.

La diagnosi di FM è eminentemente clinica e, avendo la malattia una sua precisa identità, non dev’essere posta soltanto per esclusione di altre malattie. Dato che non esistono indagini strumentali o di laboratorio specifiche per la patologia, sono adottati anche per la diagnosi clinica i nuovi criteri classificativi dell’ACR (2010), nei quali la ricerca dei tender points (presente nei criteri diagnostici del 1990) è stata sostituita dall’indice di diffusione del dolore (WPI, Widespread Pain Index) e dal questionario della gravità dei sintomi (SS, Symptoms Severity).

Il punteggio della gravità dei sintomi viene determinato valutando in una scala da 0 a 3, dove 3 è la peggiore, la gravità di 3 sintomi comuni: l’affaticamento, il sonno non ristoratore, i problemi cognitivi. Possono essere aggiunti 3 punti addizionali per la presenza di ulteriori sintomi somatici.

Il punteggio finale della gravità dei sintomi è tra 0 e 12.

La scala di gravità è stata modificata negli ultimi criteri del 2011, includendo solamente i 3 sintomi somatici più frequenti nel paziente fibromialgico — al posto dei numerosi che venivano considerati nei criteri 2010 — ovvero depressione, cefalea e dolori o crampi addominali.

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Tabella 2 — Scala di gravità dei sintomi della FM.

Per soddisfare i criteri per la diagnosi di FM il paziente deve avere:

  • 7 o più aree dolenti e il punteggio della gravità dei sintomi, maggiore o uguale a 5 (WPI ≥ 7 e SS ≥ 5);
  • oppure da 3 a 6 aree dolenti e il punteggio della gravità dei sintomi, maggiore o uguale a 9 (3 ≤ WPI ≤ 6 e SS ≥ 9);
  • i sintomi devono esser presenti da almeno 3 mesi.

Nella valutazione della disabilità dei pazienti con FM si utilizza il Fibromyalgia Impact Questionnaire (FIQ), scala di valutazione specifica che indaga la maggior parte dei problemi della FM. In tale scala (il cui punteggio va da 0 a 100) i pazienti con FM hanno punteggi intorno a 50 e quelli con FM severa possono presentare un punteggio superiore a 70.

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Tabella 3 — Fibromyalgia Impact Questionnaire (FIQ).

Prognosi

Alti livelli di ansia e disagio psicologico sono fattori prognostici negativi in quanto rendono più difficoltosi i percorsi terapeutici. La sindrome fibromialgica giovanile ha una prognosi migliore.

Terapia farmacologica

Considerata la complessità della FM, il trattamento dev’essere multidisciplinare, individuale e personalizzato e integrare trattamenti farmacologici e non.

Il programma terapeutico deve prevedere l’azione combinata del reumatologo, del fisiatra, dello psicologo, del fisioterapista, del medico di medicina generale, dell’infermiere, del paziente fibromialgico, che è la figura centrale del programma, e della sua famiglia.

Il trattamento farmacologico della FM è complesso e soprattutto sintomatico, non essendo chiara l’eziologia della malattia. Data la varietà dei sintomi, i farmaci sono numerosi. Quelli usati per il trattamento standard, che hanno una qualche efficacia sui sintomi, sono gli antidepressivi triciclici (in particolare amitriptilina), gli inibitori del reuptake della serotonina e della noradrenalina (duloxetina e milnacipran), gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (fluoxetina e citalopram) e gli anticonvulsivanti (pregabalin e gabapentin). I farmaci ansiolitici e ipnotici, gli antinfiammatori non steroidei, gli oppioidi minori (tramadolo) hanno efficacia scarsa o nulla sui sintomi.

Nel complesso, la terapia farmacologica ha efficacia limitata nella FM: riduce il dolore del 30% nella metà dei pazienti e del 50% in un terzo di essi. Tali benefici, peraltro, non si traducono in un miglioramento della disabilità o della qualità di vita. Nonostante il trattamento, la percezione della salute fisica resta, nel paziente con FM, significativamente inferiore rispetto alla popolazione generale.