Parte prima
4. Le terapie mente-corpo nella riabilitazione reumatologica

4.d Il Tai Ji Quan

Indice dell'articolo

La netta separazione del positivo dal negativo
deve accompagnarsi alla netta individuazione
del sostanziale e dell’insostanziale. Il corpo intero,
integrato dalla connessione di tutte le parti,
diviene un rapporto esteso di unità d’energia positiva e negativa,
ciascuna delle quali dev’essere interrelata,
affinché tra loro non vi sia alcuna interruzione.

Introduzione

Il Tai Ji Quan (TJQ) è una disciplina-arte-pratica assai antica che ha le proprie radici nella tradizione filosofica cinese, a sua volta bacino di raccolta e di sintesi di elementi del buddismo, del confucianesimo e del taoismo.

Nella filosofia del TJQ il precetto buddista dello “svuotare se stessi” e quello confuciano del “sottomettere se stessi” si fondono con l’indicazione taoista di “annullare se stessi” sulla via del raggiungimento del Wu Wei (il “non agire”, o meglio l’“agire in assenza di sforzo”) che permette d’inserirsi nell’equilibrio cosmico il cui dinamismo armonico è frutto dell’interazione tra le forze di natura Yin e quelle di natura Yang e dei princìpi che regolano i loro rapporti; questo è il Tai Ji come viene raffigurato nel Tai Ji Tu.

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Figura 1 — Simbolo del Tai Ji Tu.

Il praticante di TJQ rappresenta e interpreta le varie trasformazioni e interrelazioni tra le forze Yin e Yang attraverso l’esecuzione della Forma, una sequenza codificata di movimenti e gesti (da un minimo di 8 a un massimo di 103 per sequenza, a seconda degli stili) mutuati dalle arti marziali tradizionali. TJQ è dunque studio del gesto marziale (Quan significa “pugno”): nel percorso di apprendimento della forma si mette il praticante in condizione d’identificare e definire gli aspetti inseparabili e interconnessi di Yin e Yang di ogni singolo movimento della sequenza (avanzare è Yang, indietreggiare è Yin; flettere è Yin, estendere Yang ecc.), movimento che si realizza attraverso il suo opposto, di cui a sua volta è radice.

Nel Wu Wei si ricerca il Wu Ji, il “grande vuoto” o la “suprema vacuità”, condizione necessaria per entrare nel Tai Ji (si va dal Wu Ji al Tai Ji dicono i classici).

Il Tai Ji è la legge che regola tutto il reale; adeguarsi a tale legge significa per l’uomo riconnettersi e armonizzarsi con le proprie funzioni biologiche e psichiche (il microcosmo) e coi ritmi della natura e dell’universo (il macrocosmo). Praticando con rilassatezza e concentrazione si arriva a intuire che ogni movimento nasce dall’immobilità e a essa ritorna, poiché niente esiste se non come esito del suo opposto; ogni movimento, per esser meglio compreso, viene scomposto in una serie di posizioni statiche che poi verranno eseguite in sequenza, a ricreare il movimento che, a questo punto, risulterà più preciso, armonico e funzionale. Dopo aver percorso la direzione dal Wu Ji al Tai Ji, il Tai Ji diviene Wu Ji, di nuovo e incessantemente.

Il TJQ è, in sintesi, un’arte marziale tradizionale la cui pratica permette alla persona di lavorare sul proprio “equilibrio biologico” e sulla “sincronizzazione” con l’ambiente circostante per riacquistare un maggiore controllo sia fisico che mentale ed emozionale.

Cenni storici

Durante la dinastia Qing (1644-1912), nel cosiddetto periodo Manciù, si ha notizia di una consistente diffusione in Cina della pratica del TJQ come tecnica-base di allenamento delle varie arti marziali da combattimento. Dalle testimonianze non si evince quale sia stato all’epoca lo stile più praticato; sembra che a un primo stadio di evoluzione i movimenti fossero veloci e i colpi vigorosi, e successivamente sempre più lenti e flessuosi, ad assecondare alcuni princìpi poi divenuti cardine della disciplina, quali l’“adattare se stesso all’avversario” e il “sottostare alla forza con la morbidezza”.

La seconda Rivoluzione culturale (1966-77) ha visto l’ufficiale messa al bando del TJQ. Conclusasi la fase rivoluzionaria, la disciplina è stata prontamente riabilitata a tutti gli effetti sia come tecnica di difesa personale che come pratica per la salute.

A oggi il TJQ è molto popolare e diffuso; viene praticato in tutto il mondo da persone di entrambi i sessi e di ogni fascia d’età; l’attenzione è rivolta soprattutto ai suoi impieghi in campo preventivo e terapeutico. In Cina è entrato a far parte della programmazione didattica nelle scuole di ogni livello.

Zhang San Feng (ca. XIII sec. d.C.)

Narra la leggenda che Zhang San Feng, esperto di arti marziali, un giorno vide un combattimento tra una gru e un serpente. Il serpente si sottraeva ai colpi di becco dell’uccello con movimenti morbidi e sinuosi, ma poi contrattaccava con rapidità.
Il monaco capì che i movimenti circolari e continui sono più efficaci di quelli rettilinei e interrotti. In base a tali princìpi creò il Tai Ji Quan.
Un’altra leggenda narra che Zhang San Feng avrebbe imparato il TJQ in sogno.

Chen Wanting (XVI-XVII sec.)

Considerato un uomo di cultura e un guerriero professionista che aveva al proprio comando una guarnigione nella contea di Wen, è con lui che si delinea la prima documentazione storica sulle origini del TJQ. Studioso di molte arti da combattimento, trasmise alle arti marziali della famiglia l’applicazione dell’energia interna, Daoyin, e i metodi della respirazione Tuna, caratteristiche del patrimonio esoterico taoista proprio del Qi Gong.
Ulteriori contributi che apportò alle arti marziali sono stati lo sviluppo di movimenti a spirale Chan Ssu Chin e la creazione degli esercizi di spinta con le mani Tui Shou.

Chen Chang Xing (1771-1853)

Discendente di Chen Wangting, ebbe anche lui un ruolo importante nella storia del TJQ. Egli fu il primo a diffondere lo stile all’esterno della famiglia Chen. Ebbe molti discepoli, tra i quali Yang Luchan, proveniente dalla provincia dello Hubei e suo servitore, che in seguito fondò la scuola Yang.

Yang Luchan (1789-1872)

Prestò servizio come servitore presso la famiglia Chen e di nascosto seguì gli insegnamenti che Chen Chang Xing tramandava ai propri figli, il quale rimase sorpreso dalla sua bravura; a Yang Luchan fu così concesso di partecipare agli insegnamenti che sino ad allora erano stati gelosamente riservati ai soli membri della famiglia Chen.
Dopo essere tornato nel proprio paese natale nello Hebei, dove insegnò il TJQ per un certo periodo, si trasferì a Pechino, dove fondò la scuola di Tai Ji Yang, oggi la più diffusa sia in Cina che in Occidente.

Sun Lutang (1860-1932)

Sistematizzò uno stile di TJQ in cui le tecniche risultano più dure che nella scuola Yang. Sun Lutang, esperto di stili interni quali il Ba Gua Quan e lo Hsing’I Quan, fuse insieme questi due stili con il TJQ dando origine a uno stile del tutto particolare, origine delle pratiche più moderne.

Wu Jianquan (1870-1942)

Proveniente dalla provincia dello Hebei, suo maestro fu il padre Wu Quanyou, già allievo di Yang Banhou, primogenito di Yang Luchan.

Tabella 1 — Origini e tappe evolutive del TJQ.

La pratica

L’analisi degli ideogrammi che compongono l’espressione “Tai Ji Quan” ci aiuta a comprenderne il significato.

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Figura 2 — Ideogramma del TJQ.

L’ideogramma di Tai (sinonimo di Tao o Dao) rappresenta l’“Uno”, il “Principio”, a indicare il livello supremo di qualsiasi cosa a cui si faccia riferimento. L’ideogramma di Ji racchiude il concetto di evento naturale con le sue polarità estreme che vitalisticamente si connettono, si trasformano, si collegano senza posa le une alle altre in una sorta di armonico dinamismo. Il terzo ideogramma, quello di Quan, raffigura una mano chiusa a pugno, simbolo, da un lato, di movimento (la mano in tal caso è intesa come lo strumento più duttile e mobile che l’uomo possieda) e, dall’altro (la mano come pugno), di potenza, volontà, azione e realizzazione, in ultimo di pratica corporea quale via di conoscenza.

L’espressione “Tai Ji Quan” può dunque significare il “livello più elevato di capacità di connessione delle polarità psicofisiche attraverso il movimento”.

TJQ non è una teoria, bensì un’esperienza che si fonda sulla pratica di un movimento preciso e codificato che nel tempo e con la ripetizione si fa intrinsecamente più armonico e consonante con l’ambiente in cui si realizza; a questo punto, il gesto finito, la figura, riesce a legarsi senza soluzione di continuità alla figura successiva e la forma viene letta e interpretata come un unico e fluido movimento.

Caratteristiche della pratica del Tai Ji Quan

Per una corretta pratica del TJQ, i classici dettano le 6 regole generali, che si traducono poi nei 10 princìpi fondamentali della tecnica.

6 regole generali

  1. Morbidezza e flessibilità, Song;
  2. lentezza, Man;
  3. velocità costante, Yun;
  4. rotondità, Yuan;
  5. calma, Jing;
  6. intenzione, Yi.

10 princìpi fondamentali

  1. Rilassamento;
  2. concentrazione;
  3. altezza;
  4. uniformità del movimento;
  5. circolarità del movimento;
  6. perpendicolarità;
  7. rotazione del bacino;
  8. cambiamento;
  9. coordinazione;
  10. applicabilità.

Tabella 2 — Indicazioni sulla pratica del TJQ.

Le 6 regole generali

  1. Song, morbidezza e flessibilità: i movimenti della forma devono essere eseguiti con morbidezza e flessibilità; condizione raggiungibile attraverso un adeguato lavoro di rilassamento psicofisico.
  2. Man, lentezza: la lenta esecuzione dei movimenti (ritmo e velocità di esecuzione sono sempre scanditi dalla respirazione, in questo caso naturale, pacata e regolare) favorisce il rilassamento e la concentrazione durante la pratica.
  3. Yun, velocità costante: nel procedere con ritmo e velocità costanti, le figure devono susseguirsi senza soluzione di continuità.
  4. Yuan, rotondità: l’andamento della forma di TJQ segue un moto circolare; gli aspetti di tale movimento sono di natura sia pratica che filosofica.
  5. Jing, calma: calma e rilassamento favoriscono la concentrazione nella pratica, che necessita di un luogo altrettanto tranquillo, capace di non favorire distrazioni da fattori esterni e ambientali.
  6. Yi, intenzione: attraverso l’esperienza si deve arrivare a condurre la mente, l’intenzione, al momento immediatamente successivo al punto di esecuzione di un movimento (una volta interiorizzato il movimento, posso eseguirlo senza porre su di esso la mia attenzione, che sarà invece già proiettata sul movimento seguente); in tal modo si accresceranno la consapevolezza del gesto e la sua efficacia (Yi dao, Qi dao, Li dao: il pensiero intenzionale Yi genera le funzioni vitali ed energetiche Qi necessarie a sviluppare il gesto corretto Li).

Le 6 regole generali saranno i fondamenti teorici per la formulazione dei 10 princìpi generali del TJQ.

I 10 princìpi generali

  1. Rilassamento: modificazioni specifiche dell’organismo che inducono una sostanziale riduzione della tensione muscolare, associate a sensazioni psichiche percepite interiormente come senso di benessere e tranquillità, sono alla base del rilassamento; il rilassamento predispone all’esecuzione di un gesto flessibile ed efficace. Quando tutte le parti del corpo sono unite in uno stato di leggerezza, si muovono «come nuvole che in cielo lentamente fluttuano» (Zhang San Feng, XIII sec.).
  2. Concentrazione: l’esecuzione dei movimenti nel TJQ non richiede l’uso della forza fisica, ma uno stato mentale di concentrazione rilassata in cui si è proiettati all’ascolto percettivo e propriocettivo. In tal senso il TJQ può essere inteso come una forma di “meditazione in movimento”. Quando si colpisce, si può non usare la forza, ma non si può non usare la mente (Wang Xiang Zhai, 1885-1963).
  3. Altezza: durante l’esecuzione della forma di TJQ, l’altezza (cioè la distanza tra il punto di agopuntura Bai Hui, situato in corrispondenza della sommità del capo, e la base d’appoggio, valutata sia in posizione ortottica che in movimento) dovrebbe rimanere costante anche al variare della superficie d’appoggio (ad esempio, durante l’esecuzione di figure “con passo”). Ciò implica un importante lavoro posturale, sempre leggero e mai forzato, con estensione, verso l’alto, della testa e del primo tratto superiore della colonna (vertebre cervicali e prime dorsali) e, verso il basso, delle ultime vertebre dorsali e della zona lombare.
  4. Uniformità del movimento: I movimenti del Tai Ji Quan sono come un lungo fiume che scorre continuamente, ininterrottamente e lentamente (Zhang San Feng). Un ritmo lento omogeneo e costante di esecuzione porta al rilassamento e a sviluppare una naturale forma di concentrazione, grazie alla quale si aumenta la capacità di modulazione delle tensioni muscolari.
  5. Circolarità del movimento: la ricerca di una “rotondità” del movimento del TJQ, in consonanza coi ritmi ciclici della natura (il ritmo delle stagioni, il movimento dei corpi celesti, il ciclo vitale dei viventi ecc.), si traduce in un aumento dell’efficienza muscolo-articolare e in una maggiore efficacia applicativa del gesto.
  6. Perpendicolarità: oltre all’altezza, anche la linea che congiunge idealmente i punti Bai Hui (sommità del capo) e Hui Yin (centro del perineo) deve costantemente cadere perpendicolare alla base d’appoggio.
  7. Rotazione del bacino: tutti i movimenti del TJQ hanno origine da un movimento rotatorio interno che avviene nel bacino. La chiave dei movimenti del Tai Ji Quan si trova nelle anche (Zhang San Feng). Dal perno centrale la rotazione si trasmette a tutti i distretti articolari, conferendo al movimento morbidezza e armonia.
  8. Cambiamento: nell’esecuzione della forma di TJQ, il principio Yin-Yang si traduce nella continua variazione del rapporto di proporzione tra Xu (“vuoto”; minimo movimento; energia cinetica) e Shi (“pieno”; massimo movimento; energia potenziale). Ad esempio, la gamba che sostiene il peso (di solito la posteriore) è Shi, mentre Xu è la gamba libera pronta a ritirarsi e a parare; e ancora, Shi è la punta del dito medio su cui si dirige l’intenzione durante alcune figure della forma, mentre Xu sono le restanti dita. Tuttavia, la gamba libera non è mai priva di tensione e le dita rilassate non sono mai inerti, in modo che all’occorrenza è sempre possibile un’inversione di polarità.
  9. Coordinazione: La pratica del Tai Ji Quan necessita dello Shang Xia Xiang Sui (Zhang San Feng): l’armonia dei gesti durante l’esecuzione della forma deriva dalla coordinazione uniforme (Xiang Sui) delle parti superiore (Shang) e inferiore (Xia) del corpo, con particolare attenzione al movimento di mani e piedi, alla rotazione delle anche e al posizionamento dello sguardo.
  10. Applicabilità: non si può prescindere dall’origine marziale del TJQ: ogni gesto ha una sua applicazione pratica, la cui conoscenza permette non solo di approfondire lo spirito della disciplina, ma anche di perfezionare il gesto stesso riportandolo al contesto che lo ha generato.

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Schema 1 — Dinamiche d’interazione tra Qi Gong e TJQ.

Applicazione del Tai Ji Quan in ambito terapeutico-riabilitativo

Il TJQ non è propriamente una pratica medica, ma si presta a essere efficacemente inserito in un protocollo di trattamento a lungo o lunghissimo termine in associazione col Qi Gong (QG), metodica riconosciuta della Medicina Tradizionale Cinese (Schema 1).

Il QG associa l’esercizio fisico (articolare e muscolare) a tecniche di respirazione, concentrazione, visualizzazione e mantenimento posturale. I benefici di questa antica pratica si risolvono in un progressivo aumento e rafforzamento del Jing del praticante, ovvero della sua “forza interna” (resistenza fisica, resistenza ai cosmopatogeni, vitalità e capacità relazionale) e nell’affinamento della coscienza del sé propriocettivo, risultato dell’integrazione dei lavori enterocettivo — ascolto del corpo e riconoscimento delle sue proprie componenti organiche, strutturali, emozionali, psichiche e spirituali — ed esterocettivo — percezione del corpo nell’ambiente di lavoro, nella natura, in relazione agli altri.

Il TJQ, anch’esso disciplina sia fisica (basata sul rilassamento, la coordinazione motoria e la consapevolezza del gesto) che mentale (richiede e sviluppa calma, concentrazione, consapevolezza), si muove nelle stesse direzioni: mantenimento, se non aumento, del Jing e costruzione del lavoro di propriocezione. In questo senso risulta particolarmente efficace la tecnica, propria del TJQ, del Tui Shou (“spingere le mani”). Si tratta di una pratica di coppia, basata sul contatto e sull’ascolto, in cui il praticante cerca di neutralizzare la spinta del compagno sfruttando la direzione e l’intensità della forza esercitata da quello, per rispondere col minimo dispendio energetico. Questi esercizi, in un primo momento codificati, quindi prevedibili, poi interpretati liberamente, consentono al praticante di entrare in contatto con l’altro da sé e, nel confronto, di approfondire il lavoro sul sé propriocettivo.

Tai Ji Quan e riabilitazione reumatologica

La pratica del TJQ, presupponendo un lavoro sul Jing e sul sé propriocettivo, ma anche, da un punto di vista biomeccanico, su postura e articolarità, è indicata nel trattamento riabilitativo del paziente reumatologico che abbia già superato la fase acuta e critica della patologia e recuperato un’autonomia psicofisica di base.

In questa fase il TJQ favorisce il mantenimento e, in alcuni casi, un successivo implemento di uno stato raggiunto, mediante forme più specifiche d’intervento riabilitativo a lungo o lunghissimo termine, di tipo sia tradizionale che complementare (il QG, ad esempio); favorevole risulta, infatti, una pratica che associa il TJQ col QG.

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Figura 3 — TJQ nei parchi. (Foto: Ass. Wu Shing)

Aspetto peculiare del TJQ è che s’insegna e si pratica in sessioni di gruppo (il trattamento riabilitativo col QG può prevedere protocolli d’intervento individuale, assai efficaci nella fase acuta delle patologie) che naturalmente favoriscono la socializzazione tra i pazienti-praticanti. In un clima di accettazione, accoglienza e condivisione si dipanano le storie (il racconto degli iter diagnostici, dei sintomi delle varie patologie, le considerazioni sui benefici della pratica stessa) dei singoli individui, che rompono così l’individualismo e l’isolamento sociale in cui la patologia li aveva costretti (tipica è, in tal senso, la condizione di sofferenza “sociale” del paziente reumatologico). Nuovi punti di vista e opportunità, nuove amicizie e nuove attività sono il risultato del lavoro di gruppo mediato dal terapista, che per questo ruolo di guida (nell’esercizio fisico, ma anche in quello introspettivo) dev’essere portato, ma soprattutto debitamente formato.

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